Note a margine 1
Della scuola, della libertà e dei regimi
Il centro fu occupato dalle forze americane che non
trovarono alcuna opposizione nel 1945 e mitragliarono e distrussero diversi
simboli nazisti presenti, se ne possono vedere le tracce sul monumento del
tedoforo che era stato trasportato qui dopo le Olimpiadi di Berlino del 1936.
Fino al 2005 rimase una struttura militare prima americana e poi dei soldati
belgi dopo di che è iniziato un recupero degli edifici che lo hanno trasformato
in un centro studi sull’ideologia nazista.
Esiste una mostra permanente che analizza alcuni aspetti
degli studenti che erano stati selezionati e le attività che vi si svolgevano. Alcuni
titoli dei pannelli: il desiderio di ascesa sociale, il fascino dell’obbedienza
e della vita quotidiana organizzata dall’alto, lo studio e l’attività fisica,
il culto della virilità, l’uomo nuovo sano, il limite della trasgressione e
della violenza. I pannelli hanno didascalie solo in tedesco che lasciano un po’
l’impressione che si voglia far intendere che questa sia una questione loro. Una
sintetica brochure è disponibile in tedesco, inglese e francese
Il centro si occupa di continuare a raccogliere
documentazione e organizzare seminari di studio sull’ideologia nazista non
tanto analizzando gli effetti sulle vittime ma invece puntando sulle
caratteristiche degli aderenti al nazismo. È questo, sembra, un nuovo filone di
ricerca storico-sociale a partire dalla constatazione della “banalità del
male”, oppure si pensi al recente film “La zona d’interesse”. Qui invece si
percepisce che “il male” era organizzato e i “quadri dirigenti” istruiti e
formati per eseguirlo senza ripensamenti.
Gli edifici sono anche in parte utilizzati come centro
informativo ed espositivo per il Parco Nazionale Eifel entro cui la struttura
ora si trova.
La visita pone comunque una serie di inquietudini e
questioni.
La prima riguarda l’istruzione e vi trovo qui una ulteriore
smentita dell’asserzione che l’innalzamento del livello di istruzione porta
automaticamente a una maggiore libertà nelle persone e nella società.
Tutti i regimi dittatoriali del Novecento si sono
preoccupati di gestire direttamente le modalità e i contenuti della formazione
degli studenti. Questa attività assieme all’uso della propaganda era funzionale
alla creazione del consenso della popolazione verso l’unica verità che era
quella proclamata dal regime. Non solo il livello popolare di massa è stato
coinvolto in questa operazione, ma anche diversi esponenti della “cultura alta”
aderiscono convintamente ai contenuti dell’ideologia nazista, non solo per opportunismo,
si pensi da Heidegger, Carl Smith, il premio Nobel per la letteratura del 1920 Hansun,
Lorenz, Evola, Eliade, Eliot, tra i più citati. La cultura di per sé non ha
messo al riparo da adesione a ragionamenti e comportamenti razzisti e di
sostegno al genocidio.
Mi sentirei di fare un distinguo per l’adesione al fascismo
in Italia, al di là degli opportunisti, oppure dei più organici come Gentile,
Marinetti, D’Annunzio e Piacentini, ci fu una adesione particolare al fascismo
delle origini, alla dimensione rivoluzionaria antiaccademica che rappresentava;
penso soprattutto agli architetti razionalisti Persico, Pagano, Terragni, Banfi, Belgioioso che finirono poi per essere vittime direttamente o indirettamente
proprio del fascismo e del nazismo.
La cultura e l’istruzione di per sé non favoriscono
automaticamente una maggiore libertà o capacità critica nella popolazione,
dipende da come è gestita.
Qualche dubbio in merito mi viene anche ad uno sguardo sulle
società “libere e democratiche” occidentali. Quanta responsabilità ha la scuola
statale occidentale sul fenomeno evidenziato da Pasolini in merito alla
“omologazione culturale”? Oppure sulla diffusione di un pensiero irrazionale e
antiscientifico, al ritorno ai concetti razzisti, di violenza gratuita. Non mi
sembra che siano solo pensieri pessimisti di chi sta invecchiando.
Non dico che bisognerebbe “descolarizzare la società” come
diceva Illich, ma probabilmente de-istituzionalizzare la scuola sì.
Una seconda riflessione riguarda l’architettura di questa “edilizia
scolastica”. La visita degli interni è possibile solo se guidata in tedesco o
in inglese, ma si può visitare liberamente dall’esterno tutto il complesso
degli edifici dei dormitori, della mensa, delle aule, della sala
cinematografica e delle attrezzature sportive, nonché gli edifici di servizio
come un sanatorio e gli edifici per il personale di servizio.
L’insieme è un complesso molto funzionale, organizzato ben
distribuito sul versante della collina, con gli edifici affacciati al paesaggio
a sfruttare l’illuminazione naturale e l’esposizione solare, il tutto però
rivestito di una pietra calcarea grigio scura che intristisce e incupisce
ulteriormente l’insieme. Ne risulta una specie di razionalismo rivestito di “vernacolare”
richiamo al medioevo. Il lavoro di recupero ha inserito delle cornici
significative di un verde vivo su alcuni ingressi principali e su alcune
aperture a contrastare la tetraggine degli edifici esistenti. Mi viene da fare
il confronto con la Bauhaus di Gropius costruita a Dessau qualche anno prima,
intonaci bianchi, grandi vetrate, volumi che si liberano nello spazio, tutta
roba che il regime farà chiudere come arte degenerata. Anche l’architettura è
in grado di interpretare e rappresentare lo spirito e le idee che la
sottendono.
Un’ultima riflessione riguarda il paesaggio. Il complesso si
trova ora all’interno del grande Parco Nazionale Eifel. All’origine la
collocazione era stata scelta per l’isolamento che permette di eliminare le distrazioni
e un maggior controllo sugli studenti, inoltre la collocazione privilegia una
vista molto suggestiva sui boschi, i laghi sottostanti la collina in un paesaggio
naturalistico primordiale. Nonostante la bellezza del paesaggio, qualche
elemento di inquietudine rimane, forse rifacendomi proprio al concetto di
paesaggio maturato in questi anni. Nel paesaggio esiste senz’altro la
dimensione geografica, naturalistica, socioeconomica, la bellezza che tocca la
corda della sensibilità personale. E’ nella interpretazione del paesaggio che
ne fa Emilio Sereni nella sua basilare “Storia del paesaggio agrario italiano”
che interpreto la mia inquietudine, il paesaggio come “un fare, un farsi, di
quelle genti vive: con le loro attività produttive, con le loro forme di vita
associata, con le loro lotte, con la lingua …”.
Il paesaggio ha anche una dimensione antropologica e il
sublime naturalistico fa i conti con chi ha abitato in questo modo questo
paesaggio.
Alla fine della visita un dubbio: ma se avessero lasciato
andare in decadenza questa struttura come un brandello della storia terribile
del Novecento si sarebbe potuto realizzare un centro studi e documentazione sull’ideologi
nazista da qualche altra parte? Senz’altro il centro turistico di accoglienza
del Parco Nazionale Eifel si sarebbe potuto fare da un’altra parte.