martedì 13 settembre 2022

 

Ricordi belluschesi 16

“ul furmenton”

 

E’ tempo per “bat ul furmenton” ma la siccità di quest’anno presenta campi di mais in uno stato veramente pietoso. Già qualche tempo fa Roberto Invernizzi ci diceva “Con slancio poetico avrei voluto raccontarvi della bellezza della campagna belluschese con il trionfo del furmenton”, mi sono sentito sollecitato e allora vorrei parlarne io.

Il nome è mais (Zea mays), siccome proveniva da un altro modo e fu accoppiato all’altro cereale: il grano, lui fu chiamato “granoturco” in alcuni dialetti “melgot”. Fu importato in Europa al ritorno del primo viaggio di Colombo nel 1493 come altri prodotti come il pomodoro e la patata. Col fascino di una pianta esotica all’inizio fu coltivata nei giardini come pianta ornamentale, stava nei giardini della Villa Farnesina dei banchieri Chigi a Roma ed è affrescata nei festoni della loggia di Amore e Psiche della stessa Villa ad opera di Giovanni da Udine sotto la supervisione di Raffaello nel 1517. Altra curiosità: in occasione della visita di Papa Leone X a Firenze nel 1515 Giovanni Della Robbia produce una terracotta (ora al Baltimore Walters Museum) intitolata “Adamo ed Eva” in cui il ruolo della foglia di fico è sostituito dalla pianta del mais.

La diffusione nella nostra zona coltivata in modo intensivo è fatta risalire al primo ventennio del 1600. La coltivazione andò a sostituire altri cereali di minore produttività come l’avena, la segale, il farro e il miglio. La coltivazione del mais nella pianura asciutta a nord di Milano ha generato diversi problemi. Complice una diversa gestione dei contratti agrari che passano dalla mezzadria all’affitto a grano, nella zona si imporrà una rotazione agronomicamente sbagliata tutta cerealicola: grano – mais con impoverimento dei terreni. L’assenza di significativi allevamenti di bestiame (relegati a livello famigliare) non rendeva necessaria la produzione del foraggio. Per il foraggio dei pochi animali allevati si introduce una ulteriore pratica sconsigliata dagli agronomi: il taglio della efflorescenza superiore della pianta (pratica denominata “sciumà”).

Dal punto di vista alimentare la polenta di farina di mais diventa il piatto a volte unico dell’alimentazione contadina causando la diffusione della pellagra. Le popolazioni messicane utilizzavano la farina del mais dopo un particolare trattamento dei grani (ancora oggi si fa lo stesso trattamento nella cultura ispanica per la farina con cui si fanno le tortillas) che non generano gli effetti dannosi della pellagra.

Il termine “bat ul furmenton” è stato probabilmente traslato dalla modalità di separazione dei chicchi di frumento che poteva avvenire per battitura, non così era invece per il mais.

La raccolta avveniva a mano staccando la singola pannocchia dalla pianta, dopodiché, in cascina, si procedeva a togliere le foglie (scartos) che potevano essere usate per fare i materassi, e si sgranava la pannocchia con una apposita macchina azionata a mano, si raccoglievano i grani mentre il totolo (mulen) veniva anch’esso accantonato e utilizzato come combustibile invernale. La pianta veniva tagliata e utilizzata come foraggio, oppure bruciata nei campi e poi arata nel terreno. I grani di mais venivano fatti asciugare sull’aia e poi insaccati e macinati per ottenere la farina. La pannocchia ha una efflorescenza filamentosa detta “barba del furmenton” che veniva fumata di nascosto come prima trasgressione adolescenziale dell’epoca.

Una prima meccanizzazione ha riguardato la sgranatura con una apposita macchina azionata da un motore a scoppio oppure collegato attraverso un albero cardanico a quello del trattore che la portava sull’aia o nella cascina. Nella macchina venivano inserite, tramite un nastro trasportatore nell’alto della macchina, le pannocchie intere e raccolte comunque a mano, la macchina divideva i scarts, i mulen e i grani del mais insaccandolo. La macchina azionata tramite cinghie di trasmissioni non coperte da carter causava a volte incidenti non da poco.

Il mais doveva comunque essere fatto asciugare stendendolo per alcuni giorni al mattino sull’aia e raccolto prima di sera quando tramontava il sole, un gioco dei bambini era quello di entrare nella distesa dei grani con i piedi scalzi e disegnare dei solchi paralleli per accelerare l’asciugatura. Una parte del raccolto era tenuto per esigenze alimentari della famiglia e il resto veniva venduto, anche tramite il ruolo dei consorzi agrari.

Un secondo momento della meccanizzazione è avvenuto con delle grandi trebbiatrici che tagliavano la pianta a circa 10 – 20 cm dal terreno (lasciando sul terreno degli spuntoni che sono un attentato ai polpacci) ed era in grado di dividere i grani dal resto della pianta. Ora invece le nuove trebbiatrice tritano tutto insieme

Le varietà del mais sono tantissime, se ne avuta conoscenza durante l’ultima expo di Milano a cui era dedicato un padiglione tematico con le diverse varietà anche estremamente curiose come quelle di colore nero o viola.

Nel secondo dopoguerra è stata introdotta una nuova varietà ibrida che è quella più diffusa e che è ormai la sola coltivata nella nostra zona, più produttiva e adatta ormai soprattutto per la produzione di mangimi animali utilizzando la pianta intera come “trinciato”.


Giovanni Della Robbia "Adamo ed Eva" 1515


mercoledì 25 maggio 2022

 Ricordi belluschesi 15 bis

Le battaglie ecologiste

Se vogliamo stare dentro il discorso di “Ricordi Belluschesi” abbiamo avuto a Bellusco anche la sede di un circolo di Legambiente, è durato due o tre anni dall’1986 all’89 circa poi ognuno dei componenti è stato preso da altri impegni e l’iniziativa si è spenta.

Sono stati anni importanti, con la prima battaglia contro i sacchetti di plastica per la spesa, il referendum sul nucleare e la prime elaborazione della proposta per il “parco Rio Vallone”. 

https://1drv.ms/b/s!AsPvGMHqjI34rUi7VSkI56331NeO?e=1WXc0I 


Tra le iniziative fatte anche un “corso base di ecologia” con la partecipazione di soggetti molto importanti dell’ecologismo nazionale: Laura Conti: direi “la mamma dell’ecologismo italiano”, impegnata come medico sulla vicenda dell’ICMESA di Seveso è tra i fondatori di Legambiente, come Ercole Ferrario a cui ora è intitolato il “Parco Nord Milano”, Giorgio Shultz passato poi al Partito Umanista e al pacifismo e Alfredo Viganò urbanista calato nella gestione concreta e quotidiana delle proposte ecologiste.

Proprio a partire dalle riflessioni di Laura Conti si è capito che la questione ecologica è un oggetto delicato da maneggiare.

“L’ecologia è l’unica scienza che oltre agli scienziati ha un folto stuolo di paladini […] Quest’ultima in Italia, infatti, conta su pochi professionisti, ma su decine di migliaia di paladini” Si capisce che il rischio di cadere nel populismo non è irrilevante. Ma se si sono ottenuti bene o male dei risultati in questo campo è stato fatto per mezzo della mobilitazione dei cittadini.

Dentro questa esperienza ho portato a casa un paio di concetti forti.

Lo slogan” pensare globalmente, agire localmente”, anche i ragionamenti e le proposte generali possono avere dei risvolti locali, alla portata e all’impegno di ognuno. Così come un problema locale può essere capito meglio in un ragionamento più ampio.

L’altra questione si riferisce al fatto che l’ecologia è una scienza, come si dice “olistica” o “di sistema”, un concetto che è diventato poi di moda e abusato, forse superato in questi anni da quello di “resilienza”. Per capire questa cosa ci è venuto in aiuto in quegli anni un racconto di Italo Calvino contenuto nel libro “Le città invisibili” del 1972:

“Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. «Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?» chiede Kublai Khan. «Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra – risponde Marco –, ma dalla linea dell’arco che esse formano». Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: «Perché mi parli delle pietre? È solo l’arco che m’importa». Polo risponde: «Senza pietre non c’è arco».

L’ecologia è così, se ti fermi troppo a ragionare sul singolo elemento non riesci a capire che quell’elemento lì ha diverse e complicate relazioni con altri e che una serie di elementi compongono un insieme che sta in piedi. In più l’ecosistema a differenza dell’”arco di Marco Polo” è un sistema dinamico evolutivo sia nella componente naturale che nella presenza umana. Un ragionamento possibile è quello di trasformare tutto in quantificazione energetica, ma è una delle semplificazioni possibili. Nella realizzazione dei prodotti un conto sensato, ma non ancora puntualmente applicato, partirebbe da quanta energia occorre per procurarsi le materie prime, quanta se ne consuma per la produzione, quanta per l’uso, per le manutenzioni e per lo smaltimento finale e nel ragionamento andrebbe considerata la durata di questo ciclo. Ma passando dai prodotti alle azioni non ci si può fermare alla somma dei prodotti coinvolti, ci sono importanti ricadute sociali.

Abbiamo anche a disposizione strumenti e normative che hanno indirizzato il problema come la Valutazione d’Impatto Ambientale o la Valutazione Ambientale Strategica, ma anche se non applicate in modo meramente burocratico, sembrano ancora insufficienti, però almeno ci fornisco dati e ipotesi di effetti sull’ambiente.

Ragionamenti complessi che spesso non danno risposte semplici e che è difficile gestire con la mobilitazione dal basso. Per fare un esempio: qualcuno può sostenere sinceramente di avere in tasca la soluzione definitiva per Taranto?

Per uscire da una posizione che potrebbe sembrare relativista e di arresa, bisogna saper coinvolgere il decisore cioè la politica e quindi ancora i paladini sapendo che le soluzioni non sono facili.

Torniamo alla nostra Pedemontana.

Abbiamo già detto che è impostata male e sbagliata, ma intanto un pezzo è già fatto e a questo punto dove la facciamo finire? Li dove è arrivata adesso senza avventurarsi sul bosco della diossina? Oppure la facciamo arrivare ad occupare, in modo altrettanto complicato ad occupare la sede dell’attuale Milano Meda? Ragionando sulla tratta D la proposta della D breve fa meno danni dell’ipotesi della D lunga, meno territorio niente nuovo ponte autostradale sull’Adda. La D breve è un doppione del prolungamento della tangenziale est a un paio di chilometri in linea d’aria in parallelo, la prima sarebbe comunque a pagamento la seconda no. La proposta va ad aggravare la situazione del comune di Agrate, già pesantemente interessato da tratti e svincoli autostradali, inoltre gli assi autostradali diventano essi stessi nuovi attrattori di nuovi insediamenti produttivi e commerciali, certo questa situazione è di pertinenza (non totalmente) dei comuni ma si sa poi le amministrazioni cambiano. Una ipotesi sarebbe quella di fare concludere la tratta C all’intersezione del prolungamento della tangenziale est a nord di Vimercate, con ancora due problemi, un aumento del traffico su questo tratto e la mancata connessione ad Agrate tra tangenziale Est e autostrada A4.

E se si rinunciasse anche alla tratta C, rimarrebbe lì un residuato un po’ inutile. meglio inutile che dannoso?

Dopo di che rimane il macigno dell’eccessivo trasporto su gomma delle merci e della condizione del tratto urbano della A4, se si vuole seriamente trasferire le merci sul ferro occorrono comunque nuove infrastrutture compresi gli interscambi ferro-gomma, ma non basterebbe, bisogna rendere più economico ed efficiente il trasporto merci su ferro affrontando la situazione che si verrebbe a creare con gli autotrasportatori, siamo in grado di “costruire l’arco”?

domenica 22 maggio 2022

 Ricordi belluschesi 15

Pedemontana una storia vecchia di cinquant’anni

La prima idea di una nuova infrastruttura autostradale in senso orizzontale nel territorio lombardo risale al “progetto 80” un documento di programmazione politico sociale elaborato con l’arrivo al governo in Italia del centrosinistra, il documento è stato pubblicato nel 1969. Un progetto a cui lavorarono importanti esponenti della cultura socialista come Giolitti e Ruffolo ma che era vista con sospetto dalla componente centrista e conservatrice perché suscitava allusioni ai piani quinquennali sovietici. Questo documento si proponeva una serie di obiettivi per l’Italia da raggiungere negli anni ’80 (una sorta di PNRR dell’epoca).

Uno degli obiettivi in campo urbanistico era quella di spezzare la crescita “a macchia d’olio” dell’area urbana milanese che continuava a crescere a dismisura (fenomeno che viene chiamato di conurbazione) fino ad andare ad occupare tutta l’area cosiddetta “metropolitana” cioè l’insieme del territorio che ha forti relazioni sociali ed economiche. C’erano in quegli anni esperienze europee a cui la classe politica e intellettuale italiana guardava con interesse, soprattutto l’idea delle “New Town” londinesi o la crescita di Copenaghen che inglobava e manteneva ampi spazi agricoli. La storia urbanistica lombarda metteva già sul piatto questa idea di una metropoli policentrica, fatta cioè di centri urbani, sociali e produttivi abbastanza forti ed autonomi per poter interagire con un ruolo paritario col centro di tutto il motore, il modello poteva essere quello di Milano con i centri che definiscono la dimensione metropolitana lombarda: le città di Varese, Como, Lecco, Bergamo e Brescia. Storicamente lo sviluppo produttivo di quest’area era già avvenuto lungo i fiumi (energia idraulica, non avevamo il carbone) Olona, Seveso. Lambro, che, come del resto tutte le infrastrutture, facevano perno su Milano, in parte anche l’Adda attraverso i canali. Sempre attraverso i canali si può considerare anche nell’area metropolitana lombarda anche un pezzo di Piemonte come il novarese; quindi, prendendola un po’ alla lunga nel “progetto ’80” si pensa di infrastrutturare con un nuovo collegamento autostradale dalla Malpensa a Bergamo (Orio non era ancora una realtà che conosciamo oggi) favorendo interazioni interne senza passare da Milano e con l’obiettivo di frenare la crescita delle periferie milanesi. Questa idea della “città policentrica” ha stimolato anche interventi privati, ahimè fallimentari come l’idea di “Zingonia”, oppure interventi pubblici che hanno prodotto però risultati diversi per cui erano stati pensati come il prolungamento della linea verde della metropolitana a Gorgonzola che avrebbe dovuto ospitare il trasferimento del Politecnico di Milano, la linea poi avrebbe dovuto proseguire fino all’Adda tra Vaprio e Cassano dove sarebbe sorta una nuova città (fortunatamente mai realizzata). Il fatto è che le città nel territorio esistono già e secondo il piano andavano potenziate nei collegamenti infrastrutturali che per quegli anni erano collegamenti su gomma.

Alla fine degli anni ’60 nasce l’idea di una “Autostrada pedemontana” perché doveva collocarsi ai piedi delle colline lombarde collegando Varese, Como, Lecco e Bergamo, andando a sostituire la “strada briantea” esistente e ritenuta sottodimensionata.

La proposta ritorna nel Piano viabilità e trasporti della Regione Lombardia nel 1985 con un primo abbassamento nell’attraversamento dell’Adda che veniva fatto coincidere con il nuovo ponte di Paderno il cui concorso di idee si era appena concluso. La Regione a presidenza Guzzetti introduce anche una importante ipotesi di riordino ferroviario, ipotizzando una “Quadra delle merci”, un ampio quadrilatero di linee ferroviarie a servizio della metropoli per spostare una quota del trasporto merci dalla strada alle rotaie.  Il progetto Pedemontana va avanti come sappiamo quello ferroviario di competenza FS non troverà i finanziamenti neanche per il progetto preliminare.

Il progetto pedemontana non troverà investitori convinti o meglio gli investitori propongono un drastico abbassamento del tracciato a ridosso della conurbazione nella ipotesi di intercettare l’elevato aumento di traffico sul tratto urbano della A4 dalla barriera di Monza a Viale Certosa, probabilmente il tratto più intasato della rete autostradale italiana, traffico largamente generato dal trasporto merci.

Un passaggio cruciale è la “Legge obiettivo del 2001” con cui si intendono accelerare la realizzazione delle opere pubbliche, nell’elenco viene inserito la Pedemontana lombarda, in forza di questa legge non sono più richiesti i pareri degli enti locali.

La realizzazione viene data in concessione alla Società Autostrada Pedemontana S.p.A la concessione prevede il collegamento tra le autostrade di Varese, Como, e Bergamo. Il progetto preliminare viene approvato dall’organi di controllo governativo e prevede la realizzazione delle tangenziali di Varese e di Como, un tracciato basso che raggiunge Bergamo collegandosi alla A4 all’altezza di Brembate, il tratto da Vimercate a Brembate è individuato come Tratta D. Il progetto definitivo arriva agli enti locali nel 2009 con ormai poche possibilità di intervento. Riporto uno stralcio della delibera della Giunta Comunale di Bellusco del 16 luglio 2009.

Ad unanimità di voti resi nelle forme di legge

DELIBERA

1.    Di presentare, ai sensi dell’art. 166 del D.Lgs. 163/2006, le seguenti osservazioni al progetto definitivo del “Collegamento autostradale Dalmine Como Varese Valico del Gaggiolo ed opere ad esso connesse – Tratta D (Vimercate – Osio Sotto)” denominato “Pedemontana”, che si strutturano secondo tre problematiche:

  1. osservazione di carattere generale;
  2. osservazioni sugli aspetti giuridici e procedurali
  3. osservazioni in merito al rispetto delle prescrizioni del CIPE

a) OSSERVAZIONE DI CARATTERE GENERALE

Il Comune di Bellusco ribadisce la sua contrarietà alla realizzazione della tratta D “Collegamento autostradale Dalmine Como Varese Valico del Gaggiolo” denominato “Pedemontana”. Come già espressa con delibere del Consiglio Comunale n. 18 del 14.03.01, n. 53 del 14.09.01, n. 45 del 29.06.02, n. 46 del 26.07.02, n. 13 del 12.03.04, n. 42 del 10.07.08 e della Giunta Comunale n. 68 del 12.05.09 e in sede di Conferenza di Servizio.

La contrarietà si base sulle seguenti considerazioni.

L’autostrada “Pedemontana” conserva solo nel nome la finalità per cui è stata ipotizzata negli anni precedenti, il continuo abbassamento verso sud del tracciato ne hanno profondamente mutato il ruolo e la funzione.

Se la funzione della Pedemontana era quello di infrastrutturare adeguatamente il sistema metropolitano lombardo di tipo policentrico, collegando in modo efficace le città di Varese, Como, Lecco e Bergamo, il progetto definitivo è completamente diverso, sono rimasti frammenti del progetto originario nelle tangenziali di Varese e Como, completamente scollegate col resto dell’asse autostradale proposto.

Altro frammento della storia dell’infrastruttura che è rimasto nel nome e si è perso nel progetto è il termine dell’autostrada a Dalmine con relativo innesto alla A4, il progetto infatti prevede tale raccordo, immediatamente al di là dell’Adda all’altezza di Brembate.

Così modificato il progetto assume una nuova e diversa connotazione, l’asse autostradale proposto si configura come un elemento a servizio della conurbazione milanese costituendo in realtà una nuova “Tangenziale Nord Esterna”.

Tenendo conto che la tratta D non migliora le condizioni del traffico del territorio interessato ma contribuisce senz’altro a peggiorarle, come dimostrato in appositi studi effettuati negli scorsi anni e in possesso della Regione Lombardia; e che probabilmente la tratta D risulta finanziariamente problematica rispetto ai flussi di traffico intercettabili, tanto da prevedere degli “interventi di carattere insediativi e territoriale, definiti e attuati nell’ambito dell’accordo di programma di cui all’art. 9, al servizio degli utenti delle infrastrutture medesime ovvero a servizio delle funzioni e delle attività del territorio, i cui margini operativi di gestione possono contribuire all’abbattimento del costo dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva, “(comma 3 dell’Art. 10 della L.R. n.15 del 26 maggio 2008), dispositivo che sembra perfettamente calzante con il progetto definitivo di inserire una serie di funzioni complesse su un'area che interessa la parte nord del Comune di Bellusco oggetto di osservazioni successive. […]”

Per chiarire l’ultimo passaggio va detto che tra Ruginello e San Nazzaro era stato inserito un’area di servizio molto grande con anche un albergo. In tutti questi anni il progetto non è mai decollato per mancanza di investimenti private, le tratte realizzate sono state tutte finanziate con soldi pubblici.

E siamo arrivati all’ultima proposta, quella di accorciare la Tratta D innestandosi sulla A4 ad Agrate tanto da rispettare la Concessione che prevede il collegamento da Varese a Bergamo, un po’ tortuoso ma sulla carta c’è. Purtroppo, a volte, la serietà e la dignità spesso non fanno parte dell’agire amministrativo.

Sta di fatto che questa struttura non è più “pedemontana” ma un ulteriore anello della crescita della conurbazione milanese a “macchia d’olio”, proprio il contrario di quello che si auspicava all’origine del ragionamento.


sabato 23 aprile 2022

 

Ricordi belluschesi 14

Bellusco-Andrea-Camaldoli

Abbiamo avuto notizia in questi giorni della scomparsa improvvisa di Andrea Colnaghi monaco camaldolese belluschese, da anni in California in quel di Berkeley. Per i belluschesi è sempre stato semplicemente Andrea, non ci veniva mai chiamarlo Padre Andrea, anche a quelli della mia generazione, non dei primi amici più stretti, ma quella dei “fratelli minori”. Quella di Camaldoli e di Bellusco è stata una storia che ha segnato almeno due generazioni di giovani tra gli anni ’70 e ’90. Andrea da operaio decide di farsi monaco, entra nel convento di Camaldoli accompagnato da Don Paolo Banfi, sono i primi anni post-conciliari, quella della stagione del grande fermento per la chiesa cattolica e anche la scelta di Andrea diventa un evento prezioso per i camaldolesi guidati allora da Padre Benedetto Calati. Benedetto era massimo esperto di storia dei padri della chiesa, di San Gregorio Magno (anche Papa Gregorio era stato monaco benedettino prima di diventare Papa). Benedetto parlava di Gregorio Magno come grande innovatore della chiesa, in un periodo di forte decadenza politica, secondo lui Gregorio Magno ha avuto un ruolo importante per le integrazioni delle culture cosiddette “barbare” in piena crisi e decadenza della società romana. Sarà, ma in questi ultimi anni mi capita spesso di riandare alle analisi di Benedetto Calati sul ruolo di Gregorio Magno e di quanto sarebbe necessario un vero innovatore anche sociale e politico che non può venire cha da un certo distacco dalla politica quotidiana. La fine degli anni ’60 erano animati da una forte speranza di cambiamento in meglio anche in ambito religioso confidando con una certa fiducia dell’azione dello Spirito Santo.

Anni di speranze che non erano certo privi di dissidi e contrasti anche forti. Si può immaginare quanto la necessità e l’urgenza dei cambiamenti nei giovani di allora facesse fatica a convivere con una religiosità molto tradizionalista di paese. I cambiamenti sociali che comunque avanzavano nella società con un numero sempre crescente di giovani studenti, il protagonismo operaio, la nascita di associazioni laiche ricreative, culturali e politiche anche in paese, ponevano nuove domande anche alla religiosità che in prima battuta si richiude a difesa.

Però i germi conciliari fruttificano anche a Bellusco. Don Angelo Pirola, anche lui dalla fabbrica, inizia una nuova esperienza ecclesiastica a Fano sotto la guida di Don Romolo che arriverà poi all’incontro con la grande esperienza di Don Giuseppe Dossetti. Diverse formazioni sacerdotali che non si ritrovano più nell’esperienza del seminario diocesano vedono protagonisti altri giovani belluschesi di allora, Luigi con Angelo a Fano, Alberto con un’esperienza tra gli immigrati italiani all’estero e nelle periferie urbane; Alfredo, anche lui dal mondo del lavoro, alla Torino del Cardinale Pellegrino e di Don Ciotti dove si forma per poi occuparsi dei carcerati. E Andrea a Camaldoli.

A Camaldoli quando dici che sei di Bellusco trovi ancora qualche monaco (Ugo, ad esempio, il bibliotecario) che ti sorride ricordando le incursioni dei giovani belluschesi che ci sono passati più volte per qualche giorno, per occasioni di crescita culturale e personale. Andare a Camaldoli voleva dire poter chiacchierare con Benedetto Calati di cui dicevo prima, con Emanuele Bargellini il priore, con Ugo lo schivo e taciturno bibliotecario che era capace di celebrare una messa in cui la predica consisteva in 10 minuti di silenzio e riflessione personale; Bernardino che era appena tornato da alcuni anni in India a vivere la spiritualità induista; al grande Innocenzo Gargano filologo, anche lui ha vissuto alcuni anni tra i monaci del Monte Athos in Grecia; e ora importante interprete delle scritture; a Robert, il grande amico di Andrea, impegnato in una ricerca ecumenica di incontro tra cattolici e anglicani. Robert, anche lui scomparso da poco, è venuto diverse volte a Bellusco, una volta è venuto a trovarci con Andrea quando ero appena sposato, mi ricordo che un po’ divertito raccontavo i regali di nozze ricevuti come retaggio della tradizione e lui con lo stupore e l’apparente ingenuità che solo gli americani sanno esprimere ci dice che invece questa cosa è bellissima come il segno che tutta una comunità di amici e parenti aiuta a “mettere su casa”, aiuta l’avvio di una nuova famiglia”. E’ stato per seguire Robert che anche Andrea si è traferito In California. Robert era stato richiamato a insegnare all’università di Berkeley dove aveva già fatto esperienze prima di diventare monaco camaldolese. Ora non so se mi spiego ma: Berkeley! Dove è cominciata la protesta contro la guerra in Vietnam, dove è cominciato il ’68!

In questi ultimi anni i belluschesi che si sono avventurati intorno a San Francisco sapevano di avere un appoggio o un concittadino da andare a trovare.

A Camaldoli ti poteva capitare, ad esempio, di parlare un pomeriggio con Innocenzo che raccontava come un gruppo di monaci scapestrati ha forzato la mano ai lavori conciliari per passare dalla liturgia in latino a quella in italiano, oppure sentire mons. Cipriani che spiegava la differenza tra l’attenzione apparente e l’attenzione reale tipica della mistica di tante religioni dove la recita di formule ripetitive ti mette nella condizione di attenzione apparente mentre l’attenzione reale si sposta sulla riflessione personale intorno ad una parola, ad un concetto colto al momento o con Salvatore, l’artista che raccontava delle sue ricerche.

Uno dei ricordi più belli che ho di Camaldoli è stata l’ordinazione sacerdotale di Andrea, ci eravamo andati come al solito con una nutrita compagnia di giovani belluschesi, era inverno e Camaldoli era tutta innevata, la sera si stava a chiacchierare e a discutere nella foresteria del monastero tra liquori, amari e tisane, poi in camera ero con Don Paolo ed un amico, ma la discussione continuava anche in camera a luci spente a un certo punto l’amico in belluschese sbotta “ ma le minga ura de durmé?”.

Tra le occasioni formative più forti che ricordo c’è quella del triduo di riflessioni organizzate in parrocchia in occasione della prima messa di Andrea a Bellusco. Sono state tre serate di riflessioni tenute da Innocenzo Gargano opportunamente preavvisato che avrebbe parlato in un piccolo paesino, con una religiosità molto tradizionalista. Innocenzo ha fatto la prima serata, da filologo, sul tema “tradizione e tradimento” richiamando la radice comune e mettendo in guardia dall’eccessivo attaccamento alla tradizione che può portare anche al tradimento dei principi originali.

Andrea con la sua serenità, il sorriso, l’apertura mentale e anche sapiente ironia è stata la porta per diversi giovani belluschesi portatori di nuove domande in cerca di nuove risposte.

Ordinazione sacerdotale a Camaldoli, abbraccio tra Don Paolo e Andrea, sullo sfondo: Luigi, Emanuele e Innocenzo


domenica 13 febbraio 2022

Un canale mai fatto

 

Ricordi belluschesi 13 ter

Un canale mai fatto

Visto un certo interesse intorno alle questioni storiche del nostro territorio vi presento un’altra “chicca” sempre legata alla questione dell’acqua nell’area nord milanese.

Vi ho detto dell’importanza della regolamentazione dell’acqua per l’agricoltura, in realtà la funzione principale del Naviglio della Martesana era quella viabilistica, lungo il Naviglio della Martesana e poi quello di Paderno viaggiavano le merci dal contado alla città, arrivavano a Milano le produzioni agricole della Brianza, compreso una discreta produzione di vino. Mi hanno raccontato poco fa che esisteva un prelibato “Passito dell’Adda” o “Passito di Trezzo”. Il Naviglio della Martesana è stato scavato nella seconda metà del ‘400, anche quello di Paderno ha avuto diverse fasi e diversi progetti a partire dal XVI secolo ma fu terminato solo sotto Maria Teresa d’Austria nel 1777. La strada alzaia del Naviglio di Paderno che anche oggi possiamo percorrere lungo la sponda destra era utilizzata per trainare contro corrente le imbarcazioni a risalire la corrente.

Le strade erano senza un vero fondo resistente e spesso diventavano pantani per cui il trasporto più usato era quello via d’acqua.

La situazione cambia notevolmente quando, da una parte si migliora il fondo stradale, dall’atra le centrali idroelettriche che si posizionano lungo il Naviglio di Paderno non rendono più possibile la navigazione in modo agevole. La centrale Bertini di Paderno è del 1895 mentre la Esterle di Cornate è del 1914. Per guadagnare invece una quota di terreni della pianura asciutta ad una agricoltura più produttiva viene realizzato nel 1890 il Canale Villoresi che non ha avuto un ruolo significativo per i trasporti, non interessando neanche il centro cittadino.

In questa situazione è stato proposto nel 1914 un nuovo canale navigabile da Lecco a Milano, passando Sesto, Monza e Vimercate. Il canale sarebbe stato scavato in galleria da Paderno d’Adda fino ad Aicurzio e poi a cielo aperto era previsto un porto a Vimercate, Monza e Sesto. Allego la planimetria generale della proposta degli ingegneri Beretta-Maiocchi e pubblicato sul “Monitore Tecnico” nel !918.

Come è evidente l’opera non è stata realizzata e chissà come sarebbe cambiata la situazione dei nostri territori, Bellusco ne era un po’ tagliata fuori al contrario invece della viabilità stradale Monza-Trezzo-Bergamo che ne hanno invece favorito lo sviluppo in quegli anni.








Ritorno sull’acqua

 Ricordi belluschesi 13 bis 

Ritorno sull’acqua 

Nel post precedente ho raccontato come la disponibilità dell’acqua abbia permesso di ottenere dei sistemi produttivi agricoli molto diversi e come poi questo ha trasformato il paesaggio, l’urbanistica e la società dei nostri territori. 

C’è un fatto curioso sempre legato alla villa Gallarati Scotti di Oreno proprietari, tra l’altro, anche della cascina Cavalera. Lo stampatore milanese Marc’Antonio Dal Re ha pubblicato nella prima metà del ‘700 una serie di stampe delle ville costruite in quegli anni nella pianura asciutta o lungo il Naviglio della Martesana e chiamò quelle stampe “Ville di delizie o siano palagi camparecci nello Stato di Milano” da qui poi il termine che è rimasto di “ville di delizie”. A riprova che l’insediamento di queste ville fosse soprattutto un segnale di “presa di possesso di un territorio” più che un investimento imprenditoriale sull’agricoltura, dice Dal Re nella descrizione della villa di Oreno e del laghetto presente nel giardino:  

“Il più magnifica di questi luoghi è il perenne corso dell’acqua copiosa, per cui tirare molte miglia da lungi, si è dovuta aprire con dispendioso taglio una Collina ed unire con difficilissimi condotti gli aperti passi della pubbliche Strade. Serva questa, oltre al gioco delle Acque in vari pertimenti, a formare uno Stagno a guisa di piccol Lago, bastevole a sostenere per l’altezza delle Acque una barchetta con entro dieci in dodeci Persone, e condurle in ameno diporto d’intorno alle Verdi rive”. 

Dal Re forse un po’ esagerava per compiacere gli aristocratici che compravano le sue stampe contenti di essere citati per le loro opere (non avevano ancora la possibilità di farsi un selfie davanti alla propria nuova villa) ma è vero che per realizzare un laghetto nel parco i conti Gallarati costruiscono un canale lungo 13 chilometri a partire dalle colline sopra Missaglia fino ad Oreno, una spesa per lo svago di cui non si intuisce l’importanza che avrebbe potuto avere per la produzione agricola. 

Tutt’altra storia, per esempio, è stata la vicenda delle “ville venetequando l’aristocrazia veneta dopo la, seppur vittoriosa, battaglia di Lepanto del 1571, decide di spostare parte degli investimenti dal mare alla campagna, queste ville di piacere diventano connesse, anche architettonicamente, agli edifici produttivi dell’agricoltura 

L’agricoltura nella nostra zona era quindi molo dipendente dalle piogge primaverili sempre abbondanti così come in autunno, ora i cambiamenti climatici stanno modificando la frequenza e l’intensità di queste piogge ma rimangono una caratteristica del nostro clima, febbraio e marzo di solito piuttosto secchi con il rischio di incendi boschivi (dove sono rimasti, mentre in altre parti d’Italia il rischio boschivo è soprattutto estivo). E’ il periodo in cui chi deve curare i giardini impazzisce per la rapida crescita dell’erba e di chi un po’ fantozzianamente si arrabbia perché fa bel tempo da lunedì a venerdì e poi sabato e domenica piove. 

Come appassionati di storia locale belluschese un po’ ci spiace di non aver avuto una villa sul nostro territorio ma in questo senso svolgeva il proprio ruolo il catello. In epoca più tarda abbiamo avuto la Villa Bartesaghi a Cantone opera di un rifacimento totale alla metà dell’800 su strutture preesistenti addirittura del fine del ‘400, ma poi rifatta di nuovo in epoca recente.