martedì 27 agosto 2019

L’Amazzonia e il consumo di carne nel Rapporto Brandt


L’Amazzonia e il consumo di carne nel Rapporto Brandt


Sulla scia della questione degli incendi e deforestazione dell’Amazzonia sono andato a riprendere in mano il “Rapport Brandt”, pubblicato nel 1979 dieci anni prima della caduta del muro di Berlino. La Banca Mondiale cosciente che la questione politica mondiale si sarebbe spostata dallo scontro Est-Ovest a quella degli squilibri Nord-Sud, propose all’ex cancelliere tedesco e presidente dell’Internazionale Socialista Willi Brandt di coordinare una serie di studiosi provenienti da diverse parti del mondo uno lavoro sugli squilibri Nord-Sud e sulle prospettive future. Il rapporto è stato pubblicato in Italia da Mondadori nel 1980. Ne venni a conoscenza penso nello stesso anno in una tavola rotonda organizzata sul tema presso la Pro Civitate Christiana di Assisi in cui, tra l’atro, mi è talmente rimasta impressa una frase di Lidia Menapace che me la ricordo ancora: siccome il disequilibrio è talmente elevato che dovremmo prepararci ad un consistente ed inevitabile spostamento di massa dal Sud verso il Nord del mondo, possiamo affrontare questa situazione o in termini militari, preparandoci a difendere militarmente le nostre condizioni di vita oppure potremmo prepararci a questo nuovo mescolamento di popolazioni e culture preservando e valorizzando il meglio della nostra civiltà per passarlo alla nuova situazione. (Era il 1980!).
Riletto ora parecchie cose sono notevolmente cambiate, c’è stata la globalizzazione, alcuni paesi dell’estremo Est che erano compresi tra quelli del Sud del mondo hanno avuto una crescita economica molto consistente, alcune guerre che si sono fatte e si fanno, indirettamente ci permettono di continuare a mantenere il nostro livello di consumi, forse l’Africa continua a rimanere nella situazione di più forte squilibrio sociale, economico e culturale.
Comunque, sono andato a riprendermelo perché mi ricordavo che anche lì era già stato sollevato il problema della deforestazione per l’allevamento del bestiame. Dentro il rapporto, nel capitolo “fame e cibo”, a pg. 135 della pubblicazione in italiano si legge: “I ricchi del mondo potrebbero contribuire ad aumentare la disponibilità di generi alimentari […] consumando meno carne; infatti, produrre un’unità di proteine carnee comporta l’impiego di otto unità di proteine vegetali, che potrebbero invece venire direttamente consumate. Laddove gli animali che si nutrono di erba non richiedono cereali, il pollame e il bestiame nutriti a cereali ne consumano enormi quantitativi e precisamente da 3 a 9 chilogrammi per ogni chilogrammo di carne di pollo o di bovino edule, sufficienti a sopperire ai bisogni di una vasta percentuale delle popolazioni affamate del mondo mediante prodotti cerealicoli.” (Scritto nel 1979!)
La questione, come quella della emissione di CO2, rischia di assumere i toni di un neocolonialismo: per mantenere il nostro livello di benessere altre popolazioni devono vivere in condizioni di disagio per proteggere le risorse di tutti, perché la Terra è una.
Non si tratta probabilmente di diventare tutti vegetariani ma di stare più attenti, se ci è consentito veramente, alla provenienza dei cibi che compriamo cercando di non compromettere risorse di altre popolazioni. Bisogna inoltre che un riequilibrio delle risorse permetta a tutta la popolazione mondiale di vivere in buone condizioni economiche, sociali culturali e di opportunità senza compromettere le risorse delle future generazioni.

giovedì 15 agosto 2019

contrordine compagni! Sono finiti i popcorn


“Contrordine compagni! Sono finiti i popcorn”


Crisi di governo ferragostana del 2019, al limite della farsa come sono stati questi mesi di governo. Dopo aver approvato provvedimenti che da più parti dicono non essere sostenibili, non solo, promettendosene di farne altri altrettanti “a debito futuro” come si fanno quadrare i conti? Ci penseranno quelli che arrivano dopo. Salvini ha aperto una crisi politica con tempi non proprio comprensibili a questo riguardo, con lo spettro di un governo istituzionale che farà la legge di bilancio oltre che gestire le elezioni. Un Monti bis?
Cosa vuole Salvini sembra chiaro, capitalizzare l’ampio consenso popolare acquisito in questi mesi e riproporre un governo di centrodestra a guida leghista.
Cosa vogliano i Cinque Stelle sembra portare a casa una battaglia di bandiera: la riduzione del numero dei parlamentari, fatta, come il resto dell’azione politica del loro governo, all’insegna dell’improvvisazione. Una battaglia solo di bandiera non direttamente applicabile se si arrivasse a votare entro l’anno. Come si sistemano le cose? Ci penseranno quelli che vengono dopo.
Nella sinistra le cose, come sempre, sono “molto più complesse”.
La posizione più sorprendente è quella dei renziani che in meno di ventiquattro ore hanno deciso che il quadro politico era talmente cambiato da ribaltare anche la loro posizione politica. Dal minacciare la scissione se qualcuno nel PD avesse parlato anche solo di una consultazione coi Cinque Stelle a minacciare la scissione se non si fa un governo istituzione con i Cinque Stelle! Arrivando perfino ad affermare che la linea politica nel merito non l’avrebbe scelta la segreteria ma i gruppi parlamentari, così con un sol colpo si sfiduciava anche il segretario di partito.
C’era chi faceva presente già lo scorso anno che la situazione era pericolosa e i renziani hanno imposto la tattica del “popcorn” affermando che le istituzioni democratiche sono forti. Visto che lo sciagurato referendum renziano non era passato, le istituzioni democratiche sono ancora quelle. Certo la legge elettorale non è proprio il massimo, la Lega sembra avere un consenso altissimo, la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe bisogno di correttivi (ma per questo come già detto non c’è problema perché non entrerebbe in vigore con queste elezioni!). Gli avversari interni avanzano il sospetto, sembrerebbe fondato, che qualche mese di ritardo delle elezioni servirebbero a Renzi per preparare il suo nuovo partito, simboli e nome già pronti.
Un altro pezzo del PD vorrebbe invece un accordo di governo con i Cinque Stelle per finire la legislatura, si sistemano i conti, si rimette a posto il rapporto con l’Europa, si rabbercia il quadro istituzionale e poi si va al voto. E’ uno scenario che ho già visto diverse volte: i due governi Prodi e il governo Monti. Il centro sinistra che impone al paese scelte impopolari poi perde le elezioni e la destra sperpera in scelte populiste che piacciono tanto agli elettori. Si dice “senso dello Stato”, adesso addirittura bisogna “salvare l’Italia e gli italiani”. Ma gli italiani vogliono essere salvati?
In teoria nel PD dovrebbe essere rimasto anche un gruppo che vorrebbe comunque andare alle elezioni, mobilitare il paese su un programma politico (?) in grado di recuperare gli astensionisti, i delusi dei Cinque Stelle, i moderati (secondo qualcuno in realtà i moderati sono già il PD) e le “varie anime della sinistra”.
Penso però che la sintesi programmatica sia impossibile. Tutta la sinistra occidentale dopo l’abbandono della socialdemocrazia novecentesca, la scelta del mercato, il blerismo, il liberalismo democratico, in realtà non riesce a costruire un programma politico per gli elettori ormai populisti. Non dico una ricetta per governare la globalizzazione e la crisi ambientale ma anche solo:
  • Si promuove il lavoro o si difendono i lavoratori?
  • Il merito fa parte dei valori o è sempre e solo meritocrazia?
  • Occuparsi dei diseredati è una questione di diritti (e doveri) o, in nome della “percezione della sicurezza” è un’opera di carità da lasciare alla chiesa e al volontariato?
  • Il riformismo è un percorso da ricominciare o è meglio lasciare le cose come stanno garantendo i corporartivismi se no si perdono i voti?
  • La sussidiarietà verticale è un valore? Portare il livello delle decisioni più vicino possibile agli elettori oppure in questo modo “si rompe l’unità della Repubblica”? Ma ricordiamoci dell’art. 114 della Costituzione “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” Possiamo pensare di migliore l’efficienza dei servizi decentralizzando la gestione trasformando i servizi statali in “beni pubblici” con al centro gli utenti invece delle corporazioni?
  • L’eguaglianza, l’equità e l’inclusione non sono sinonimi, come si coniugano le libertà individuali e l’appartenenza sociale? Come garantire a tutti di poter realizzare il proprio progetto di vita senza esagerate sperequazioni economiche e sociali?
  • Se le differenze economiche e sociali si polarizzano eliminando il ceto medio, possiamo pensare di avere un problema di ridistribuzione del reddito? O pensiamo che anche questo possa essere risolto dal mercato?

Tutte questioni su cui non vedo concrete possibilità di trovare sintesi nel centro-sinistra e, andando oltre la pretesa della “vocazione maggioritaria”, anche nella sinistra e nella sinistra sinistra (lascerei fuori che si propone di abbattere il capitalismo per avanzare verso il “sol dell’avvenir”).
Se invece si pensa ad una alleanza d’emergenza tipo CNL questa ha bisogno di un suo momento catartico. Sarà duro, sarà doloroso, sarà drammatico ma (sarà il pessimismo dell’età che avanza) non vedo altro modo per invertire la narrazione populista maggioritaria nel paese.
Salvini dice di avere già pronta la finanziaria, bene, andiamo a far scoprire le carte, facciamogliela approvare, poi la cosa non regge nella vita reale del paese, tutti si assumano le loro responsabilità, anche gli elettori. Aumenta l’IVA, gli investitori stranieri scappano, aumenta la dislocazione produttiva, non ci sono più i soldi per pagare i dipendenti pubblici (anche il mio), c’è bisogno della “troica”, si deve tagliare drasticamente la spesa sociale e le pensioni. Gli elettori del tempo dei sociali hanno bisogno di toccare direttamente con mano, se no sarà come la volta scorsa quando eravamo più o meno nelle stesse condizioni e il governo Monti rimette la situazione in sicurezza e nell’elettorato populista social dipendente la colpa è stata di Monti e della Fornero e non di chi ha causato la situazione e ora si appresta di nuovo a governare.
Forse solo dopo un disastro di questo tipo si potrebbero ritrovare le condizioni per un nuovo CNL e le condizioni per ripensare nuove sintesi e nuove riforme.
E’ brutto lo so.