mercoledì 24 aprile 2024

 

Barbara Kingsolver 4


“LA COLLINA DELLE FARFALLE”

 Il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2012 e in Italia nel 2013.

La protagonista del romanzo si chiama Dellarobbia, sua madre l’ha chiamata così perché pensava fosse un nome biblico, poi troverà che corrisponde al nome di una confezione natalizia e solo molto dopo gli diranno che il suo nome staccato è il cognome di una famiglia di artisti del rinascimento italiano. Dellarobbia ha sposato Burley junior perché a 17 anni era rimasta incinta, anche quando poi abortisce decide di rimanere nella famiglia del marito: i Tunbow proprietari di terreni e di un allevamento di pecore ai piedi dei monti Appalachi meridionali nel Tennessee. Dellarobbia vive un rapporto insoddisfacente col marito, lo vede come un bambino non cresciuto; infatti, tutti lo chiamano Cub come diminutivo di Cubby. Incapace di gestire una famiglia, e succube della madre Hester e del padre Bur (Burley). La coppia ha avuto poi due figli: Preston di cinque anni e Cordie di circa due anni.

Durante un tentativo ipotizzato di fuga dalla famiglia, invaghita di un giovane ragazzo, mentre si reca all’appuntamento in un capanno sui monti nei terreni dei Tunbow si imbatte in un fenomeno anomalo, una enorme nube arancione che avvolge tutta la valle degli abeti. Intimorita e non riuscendo a capire cosa fosse lo strano fenomeno decide di desistere e di ritornare in famiglia. Dellarobbia si rende conto anche che probabilmente la fuga con giovane ragazzo non sarebbe stata comunque la soluzione.

Qualche giorno dopo si scopre che la strana nube in realtà è una grandissima colonia di farfalle monarca che inspiegabilmente e per la prima volta ha occupato l’area. In un contesto di povertà materiale e culturale della profonda provincia americana del fenomeno naturalistico si dà in parte una lettura religiosa (il volere di Dio), dall’altra si prospettano anche qualche possibilità di guadagno per lo sfruttamento turistico del fenomeno. Per Burt diventano un intralcio per il rientro economico dai debiti, pensava infatti di disboscare la collina e vendere il legname.

La notizia arriva ai media alla ricerca del fenomeno che fa notizia, attirando ambientalisti, curiosi e turisti. Arriva anche Ovid Byron, un docente dell’università della California esperto della farfalla monarca. Ovid impianta un laboratorio nelle stalle dei Tunbow e si mette a studiare il fenomeno. All’inizio Dellarobbia sembra trovare interesse nello studioso ma poi il loro rapporto si sposta sul piano di lavoro, anche collaborativo ma soprattutto di confronto culturale.

Ovid spiega che a causa dei cambiamenti climatici le farfalle hanno cambiato le loro abitudini migratorie, scegliendo per lo svernamento una valle che le avrebbe messe in pericolo di estinzione.

Si apre a questo punto del romanzo una serie di riflessioni sui cambiamenti climatici, sulla conoscenza del problema e soprattutto su come questo incide sugli aspetti sociali e quanto conti la formazione culturale.

Riporto ampi stralci del capitolo 11 dove il tema viene fortemente evidenziato. È la parte di un colloquio tra Dellarobbia e Ovid mentre stanno analizzando la moria delle farfalle:

“La farfalla che aveva sulla mano sbatté le ali e Dellarobia la sollevò verso la luce. Si vedeva ogni singolo graffio sulla superficie lucida delle ali, come le lenti di un vecchio paio di occhiali. «Se solo potessero accoppiarsi e deporre le uova» disse. «Non dico di portarle tutte in Florida, magari solo una parte, in modo che superino l'inverno!»

Lui alzò la testa, guardandola negli occhi. «Non è compito mio, Dellarobia».

Dellarobia rifletté sulle sue parole. A chi apparteneva una specie? Esisteva qualche legge in proposito? Si sedette sulla sedia da campo. Il dottor Byron sembrava quasi irritato e si voltò a guardare il fascio di appunti sul tavolino. «Non sono il guardiano dello zoo» disse. «E non sono neppure qui per salvare le monarca. Sto solo cercando di capire».

Dellarobia provò un moto di stizza. «Chi può salvarle, se non voi?» […].

«La salvezza è un problema di coscienza» disse il dottor Byron. «Non riguarda la biologia. La scienza non ci dice quel che dobbiamo fare. Ci dice solo come stanno le cose».

«Forse è per questo che non piace a nessuno» ribatte Dellarobia, sorpresa dalla propria impertinenza.

Anche Ovid pareva stupito. «Come sarebbe?»

«Mi scusi, forse non so quello che dico. Lei mi ha spiegato il cambiamento del clima e le conseguenze pazzesche che può avere. Ma la gente non ci crede, mio marito, quelli che parlano alla radio. Dicono che non ci sono prove a dimostrarlo».

«Le cose che le ho detto, Dellarobia, sono certe e condivise dagli scienziati in tutto il mondo. Non credo che quelli della radio siano uomini di scienza. Perché la gente dovrebbe comprare l'olio di serpente al posto delle medicine?»

«È quello che stavo cercando di dire: voi non siete amati. Forse la vostra medicina è troppo amara. O forse non volete neanche vendercela, perché siete convinti che non possiamo capire. Dovreste cominciare a parlare con i bambini dell'asilo, partire da lì».

«È troppo tardi, mi creda».

«Non lo dica neanche per scherzo, io ho dei bambini piccoli!»

Ovid annuì lentamente. «Non è sempre stato così. Una volta noi scienziati non eravamo tanto antipatici alla gente».

«Lo so, Herbert Hoover è perfino diventato presidente!» L'enciclopedia di Preston si stava rivelando utile.

Ma Ovid non sembrava affatto divertito. «Mi riferivo a tempi più recenti. Quindici anni fa, la gente era a conoscenza del riscaldamento globale, almeno in termini generali. Nei sondaggi, le persone rispondevano cose del tipo: sì, esiste ed è un problema. Conservatori e liberal. Ora invece l'opinione pubblica è spaccata a metà».

«Be', sì, la gente ama distinguersi. Come i bambini in una famiglia. Devono marcare il loro territorio. C'è il cocco dell'insegnante e il monello».

«Per cui da una parte ci sono le persone calme e istruite che credono nel monito della scienza, e dall'altra gli scalmanati che negano il problema?»

Figli e figliastri, insomma. […]

«Io penso che le squadre siano già fatte» disse. «Noi, i campagnoli, portiamo le armi e i trattori e i fagiolini sott'olio, non ci piacciono le moine ma ci curiamo del prossimo. Gli altri indossano vestiti costosi, fanno il riciclaggio e il controllo delle nascite e hanno la vita facile, come i suoi studenti che pretendono il massimo dei voti».

Ovid la guardò stupefatto. «Sta dicendo che si tratta di un conflitto fra aristocratici e plebei?»

Dellarobia ricambiò lo sguardo. «Non mi pare di aver detto niente del genere».

«Ma la sostanza era quella. Però lei sta dimostrando che c'è qualcuno nella vostra squadra capace di rompere le barriere, mentre gli altri auspicano una società retriva che vive nel solco dell'aratro».

«Oh!» fece Dellarobia.

«Non crede che le frontiere di questo piccolo mondo siano già crollate?»

«Forse. Può essere. Be', no. Dipende».

«Cioè?»

«Se è vero quello che dice lei, andrà tutto in vacca comunque. E poi che si fa? Si ricomincia da capo?»

Ovid non fiatò. Dellarobia sapeva di essere stata poco rispettosa, parlando in quel modo. Era come una religione per lui, come un figlio, una cosa che ti tiene sveglio la notte. «Mi scusi» disse. «Il fatto è che l'ambiente appartiene all'altra squadra. La gente come noi non può permettersi certe preoccupazioni, dice mio marito».

Il dottor Byron aggrottò la fronte. «Vuol dire che gli agricoltori non devono preoccuparsi della siccità o delle inondazioni?»

«Pensa davvero che sarebbe diverso se avessimo più informazioni? Per carità, chi è che può scegliere?»

«Le informazioni sono tutto ciò di cui disponiamo». Ovid la guardò negli occhi, cercando di mettersi a nudo, in senso figurato stavolta. «E tutti possono scegliere» disse. «Un uomo può guardare in faccia una verità scomoda o rifuggirla».

Dellarobia scrollò la testa. «Mio marito non è un vigliacco. Una volta ha infilato il braccio nell'imballatrice mentre andava, per sbloccarla. Stava per piovere e bisognava far presto, altrimenti addio raccolto. Se è di avere le palle che stiamo parlando. Lui e i miei suoceri affrontano la cattiva sorte sei giorni su sette, e la domenica vanno a pregare per chi sta peggio».

Il dottor Byron sembrava colpito, anche se probabilmente ignorava che erano in parecchi ad aver lasciato un braccio nell'imballatrice. «Non te la scegli da te la tua parte» continuò Dellarobia. «E una volta che ti sei fatta la nomea della ragazzaccia, te la tieni per sempre. Io sono la bifolca col pick-up? Bene, lasciatemi scorrazzare in santa pace».

Ovid aveva l'aria perplessa. Forse conosceva di più le farfalle che gli esseri umani.

[…]

«Gli esseri umani sono animali sociali» disse lui. «È un dato di fatto, ci siamo evoluti in questo modo. Cogliere i segnali e rimanere all'interno di un gruppo sono doti fondamentali per la sopravvivenza, nella nostra specie. Ma mi piace pensare che noi scienziati siamo gli arbitri. Che possiamo parlare con tutte le parti in causa».

«Forse, può darsi. Ma non lei. Mi ha sempre ripetuto che non vuole coinvolgersi troppo con la comunità, che è qui solo per misurare e contare ... »

Okay, ora però chiudi il becco, si disse Dellarobia.

«Proprio così» disse Ovid. «Se ci impelaghiamo nei dibattiti pubblici, veniamo accusati dai nostri colleghi di essere imprecisi o troppo categorici. Se non addirittura megalomani. Anche parole semplici come "teoria" o "prova" acquistano un significato diverso fuori dal mondo scientifico. E avere un largo seguito può costarci l'etichetta di "studiosi di mezza tacca"».

Dellarobia era stupita: pensava che gli accademici fossero dotati di più buon senso. Anche se essere uno "studioso di mezza tacca" non equivaleva certo a "prostituirsi al nemico".

«Per questo non parla con i giornalisti, vero? Perché è evidente che li evita».

Il dottor Byron esalò un sospiro così lungo che Dellarobia pensò a uno svenimento. «È una strada

insidiosa. Soprattutto per gli ecologisti, come me.

L'ecologia è la scienza che studia le comunità biologiche. L'interazione fra le diverse specie. Non c'entra niente con il riciclo delle lattine. È una scienza sperimentale e teoretica, come la fisica. Ma appena parliamo in pubblico, compaiono gli striscioni».

«Ho avuto modo di rendermene conto» fece Dellarobia.

«Ogni volta che sento qualcuno di quegli smidollati parlare di ambiente, fregiandosi del titolo di "ecologista", mi viene voglia di spaccargli una bilancia Mettler in testa».

«Wow».

«Possiamo essere molto permalosi noi scienziati»”.

Sul finale del capitolo c’è un altro dialogo, divertente, con il signor Akins, un ecologista di città.

Nel romanzo poi si tocca anche il tema del rapporto con i mass media ricavandone un giudizio quasi sempre negativo, dove la voglia di raccontare arriva a storpiare la realtà.

La crisi esistenziale personale a quella globale dell’ambiente forse si supera soltanto con più formazione.

Un romanzo, come gli altri scritto molto bene e che affronta temi di estrema attualità.

lunedì 1 aprile 2024

 

Barbara Kingsolver 3

“UN MODO ALTROVE”



Il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2009 e in Italia nel 2010. E’ un vero e proprio romanzo storico che parte dal ritrovamento dei manoscritti del protagonista pubblicati da una redattrice che è stata la sua ultima segretaria. La vicenda romanzata è quella di Shepherd William Harrison nato nel 1916 da padre statunitense e madre messicana. La madre in cerca di avventure e di una favorevole sistemazione si trasferisce in Messico con il figlio come amante di un fazendeiro a Isla Pixol. Shephered durante la bassa marea, scopre in uno scoglio con un passaggio sottomarino che al limite dell’apnea immette in un “cenote”, luogo sacro dei Maya, una pozza a cielo aperto circondato da rocce e foresta e il fondo ricoperto da ossa umane. Questo passaggio è definito dai locali “lacuna”, intorno a questo termine ritorna periodicamente il romanzo.

Tra il 1932 e il ’34 Shepherd ritorna negli Stati uniti per frequentare un collegio militare ed è testimone il 28 luglio 1932 della repressione ordinata dal Presidente Hoover di una massa di diseredati che attendevano invano i rimborsi promessi. Gli accampati furono sgombrati con un assalto dell’esercito che uccise diversi occupanti. A seguito di un comportamento scandaloso fu poi espulso dal collegio e rientrò in Messico.

All’inizio viene assunto come aiutante per la preparazione della calce dal pittore Diego Rivera che stava affrescando lo scalone del palazzo governativo a Città del Messico. Il Messico vive una stagione di rivoluzioni, controverse, di ispirazioni socialiste e anticlericali. Da aiutante di Rivera passa poi alle dipendenze della moglie, la pittrice Frida Kahlo. La coppia di artisti piuttosto eccentrica si accorge che a Shepherd piace leggere e soprattutto scrivere, ma scrive appunti per un proprio diario non destinato alla pubblicazione. Frida lo incita a scrivere ma per il momento continuerà a riempire i taccuini dei resoconti di momenti della propria vita e di quello che gli succede attorno. Esilarante la descrizione della casa che Rivera e Frida si fanno costruire in stile cubista.

La coppia di artisti si farà garante dell’ospitalità e della protezione dell’esule Lev Trockij e della moglie nel 1937 e il nostro protagonista ne diventa il secondo segretario seguendo le vicende e i difficili rapporti tra Rivera, Frida e Trockij. L’opposizione a Stalin costringeva Trockij a vivere sotto scorta ma i partiti comunisti messicano e statunitense sottoposero Trockij ad un processo per rispondere alle accuse lanciategli da Stalin, accuse che erano sostenute anche dalla stampa. Viene nominato presidente della commissione d’inchiesta il filosofo e pedagogista John Dewey che scagionerà il rivoluzionario sovietico dalle accuse. In questo periodo il protagonista scopre lo scandalo del travisamento dei fatti che la stampa è in grado di proporre e condizionare così l’opinione pubblica. Il romanzo mette in bocca a Trockij l’affermazione “I giornali si dividono in due tipi, quelli che mentono sempre e quelli che mentono qualche volta”, un'altra diversa sorta di “lacuna”. Trockij fu poi assassinato nella sua casa di Coyoacan il 20 agosto 1940.

Shepherd stringe sempre più legami di amicizia e di stima con la pittrice Frida Kahlo per cui si occupa del trasferimento di alcune sue opere per una mostra a New York. Deciderà poi di rimanere negli Stati Uniti. Scartato dal servizio militare per problemi di identità sessuale derivate ancora dalla sua cacciata dal collegio, verrà impiegato per il trasferimento e la protezione delle opere d’arte dai musei di Washinton alla cittadina di Asheville in North Carolina.

In questa fase del romanzo Shepherd vive in modo assolutamente appartato e schivo scrivendo romanzi sugli Aztechi, i Maya e la antica storia del Messico. I romanzi hanno notevole successo fino al rovesciamento delle sorti perché il protagonista incappa nella morsa anticomunista del maccartismo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un’altra volta la realtà viene manipolata, ricostruita con una serie di “lacune”, accusato di essere filostalinista, a nulla valgono i ragionamenti articolati sull’amicizia con Rivera, Kahlo, l’antistalinismo di Trockij, tutto finisce nel calderone di essere un nemico degli Stati Uniti.

Shepherd riesce a fuggire di nuovo in Messico con la sua segretaria, ritornano a Isla Pixol e durante la bassa marea si immerge alla ricerca della sua “lacuna” da allora si perdono le tracce del protagonista.

Romanzo come al solito scritto molto bene, avvincente, accurato nelle ricostruzioni delle vicende storiche e nell’intreccio romanzato.

lunedì 18 marzo 2024

 


Barbara Kingsolver 2

“L’ALBERO VELENOSO DELLA FEDE”

Il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 1998 ma in Italia nel 2013. La storia è quella di una famiglia che guidata dal fanatismo religioso del padre Nathan Price, un missionario battista, si sposta dal sud degli Stati Uniti nel Congo Belga per evangelizzare, convertire e battezzare la popolazione locale di un piccolo villaggio nel profondo entroterra. Siamo nel 1960 quando scoppiano le rivolte per l’indipendenza a seguito del ritiro della sovranità del Belgio e l’interesse degli americani e sovietici per il controllo del paese, il passaggio dal colonialismo al neocolonialismo.

La scrittrice ha vissuto effettivamente in Congo nei primi anni Sessanta a seguito dei genitori, il padre era un operatore sanitario nell’allora capitale Léopoldville.

Il fanatismo religioso, anacronistico, del padre trascina in Congo la moglie Orleana e le quattro figlie: la maggiore Rachael, le due gemelle Lea e Adah e la più piccola di cinque anni Ruth May.

I paragrafi del romanzo sono intitolati a ognuna delle protagoniste e raccontano in prima persona, con modalità e il linguaggio che caratterizzano il proprio personaggio, la propria esperienza e visione delle cose. Possiamo attribuire ad ogni protagonista del romanzo quasi un archetipo nel rapporto del mondo occidentale con la questione Africa. Così la madre presenta le figlie all’inizio del romanzo “Le figlie le marciano dietro, quattro ragazze strizzate in corpi tesi come archi, ciascuna pronta a scoccare un cuore di donna in direzioni diverse, verso la gloria o la dannazione”

Rachael, un po’ superficiale e edonista, la più oppositiva al progetto del padre, rimpiange una normale vita da ragazza americana “alla moda”. Dopo la tragedia che smembrerà la famiglia e varie peripezie matrimoniali, rimane in Africa senza mai integrarsi, ma ritagliandosi un proprio business, apre un albergo per soli bianchi nel Congo Brazzaville.

L’Africa si può anche non capirla ma ci si possono fare degli affari.

Lea rappresenta l’idealista che crede di salvare il mondo e quando le cose vanno nel verso sbagliato non può che sentirsi in colpa. All’inizio è la più fervente collaboratrice del padre, lo difenderà sia all’interno della famiglia che nei confronti del capo villaggio, il quale vede come minaccia verso le tradizioni e la religiosità panteistica l’opera di Nathan. Una prima incrinatura rispetto alle proprie certezze l’ha a a seguito della visita del pastore Fowles che gestiva precedentemente la missione. Il pastore ha abbandonato la missione ha sposato una donna congolese, ricerca una forma più sincretica tra cristianesimo e panteismo locale e concentrandosi sul fare, nella dimensione della carità. Lea comincia a collaborare col maestro del villaggio Anatole, a sua volta formato nell’ambito missionario. Anatole si occupa di Lea quando si ammala durante l’abbandono del villaggio, i due si innamorano e abbracciano la causa del Presidente Lumunba, primo eletto dopo l’indipendenza, figura non gradita dalle potenze occidentali che lo rovesciano con una guerra interna di secessione della regione del Katanga e appoggiano il dittatore Mobuto. Lumumba verrà accusato a sua volta di essere appoggiato dai sovietici. A seguito dell’omicidio di bianchi, ad opera delle milizie indipendentiste , animate da un feroce spirito di vendetta rispetto a quanto subito nella dominazione belga, Interviene l’ONU che si schiera a sostegno di Mobuto il quale rimase al potere fino al 1997. (il libro contiene una documenta bibliografia anche su questi fatti storici e sul coinvolgimento della CIA).

Anatole subisce più volte il carcere per le sue posizioni politiche, alla fine la coppia si prodigherà nella costituzione di cooperative agricole nel sud del paese fino a spostarsi in Angola dove l’esperimento simile di indipendenza ad opera di Agostino Neto, portò poi il paese nell’orbita dell’influenza sovietica e cubana.

Lea rappresenta un po’ il sostegno occidentale idealista alle lotte di liberazione e di indipendenza dell’Africa sia dal colonialismo che dal neocolonialismo.

Adah, la sorella gemella di Lea ha subito una emiparesi durante il parto e mantiene un difetto fisico ma è dotata di una grande intelligenza che gli permette di imparare velocemente sia le lingue che tutto ciò che legge, scegli poi un mutismo nei confronti di tutti, sentendosi in debito nei confronti di Dio, del mondo, della sua famiglia e di sua sorella che gli ha rubato parte della normalità. Non parlando Adah scrive diversi quaderni con riflessioni scientifiche, razionale ma anche calembour linguistici. E’ dotata di straordinaria capacità di calcolo mentale. La lentezza e l’isolamento sociale gli permettono di indagare sugli aspetti naturalistici, ma anche linguistici del villaggio con un atteggiamento antropologico. Insieme alla madre abbandona il Congo per tornare in Georgia, si laurea in medina ma abbandona anche questa professione trovando incongruo il giuramento di Ippocrate di accanimento contro la morte che invece considera un fatto naturale. L’atteggiamento malthusiano la porta ad occuparsi dello studio dei virus.

Adah rappresenta l’approccio scientifico razionale alla questione africana.

Ruth May arriva in Africa all’età di 5 anni, il suo è un approccio ingenuo e infantile al contesto, questo gli permette comunque di indagare, curiosare e conoscere quello che gli sta attorno. E’ la prima a trovare una forma di dialogo se non di integrazione con gli altri bambini del villaggio a cui insegna i propri giochi. Si sottrare alla assunzione sistematica del chinino e si ammala. Non riesce comunque ad uscirne viva da questa esperienza e muore per il morso di un serpente dall’aspetto fantastico. La sua morte è la tragedia che fa esplodere le contraddizioni interne alla famiglia, dalla scelta di andare in Africa alla sottomissione del fanatismo religioso del padre.

Rut rappresenta in qualche modo l’approccio occidentale semplicistico alle questioni africane, approccio destinato a soccombere.

La madre Orleana che apre le riflessioni in alcuni capitolo, a seguito della tragedia della perdita di Ruth May, prende la decisione di abbandonare il marito, la fede e il Congo cercando di portare in salvo le sue figlie, torna negli Stati Uniti con la figlia al momento più debole e con forti sensi di colpa a partire dal non essere stata pienamente se stessa fin dal matrimonio, di non essersi opposta al fanatismo religioso del marito, di non essersi opposta al progetto della missione in Congo e di non aver difeso le figlie.

Orleana può rappresentare la riflessione intellettuale e politica dell’occidente a posteriore e con forti sensi di colpa per non riuscire a capire e ad agire concretamente ed efficacemente sulle questioni grandi e complesse che agitano l’Africa.

Un libro che mi è piaciuto molto, coinvolgente con una scrittura molto fluida che fornisce materia di riflessione sull’Africa, sulla colonizzazione culturale, sul fanatismo religioso che può sembrare macchiettistico e anacronistico riferito ai missionari battisti ma che incombe ancora.

martedì 5 marzo 2024

 

Barbara Kingsolver 1

“DEMON COPPERHEAD”

 


Come ogni tanto capita, mi sono imbattuto in una scrittrice molto interessante: Barbara Kingsolver, salvo poi scoprire che è data come tra le più importanti scrittrici americane viventi. Nel 2023 ha vinto il premio Pulitzer per la narrativa col primo romanzo che ho letto “Demon Copperhead” uscito negli Stati Uniti nel 2022.

Il romanzo è proprio una riscrittura di quello di Dickens “David Copperfield”, il protagonista è un ragazzo orfano prima di padre e poi anche di madre, sono ripresi diversi dei personaggi e alcune caratterizzazioni del romanzo originale. Il contesto però è molto diverso, Demon è un “millenium” e vive nella provincia americana del Tennessee in un contesto di depressione economica per dell’abbandono delle miniere di carbone e attività agricole di sussistenza. È interessante il confronto fra i due testi.

Manca quindi lo spirito positivista dello sviluppo industriale londinese, certo, con tutte le sue deficienze, ma in grado di far immaginare una ascesa sociale. Per Demon le speranze sono più ristrette e l’abisso fisico e morale ancora più profondo. Se per David l’inizio del riscatto può essere un lavoro impiegatizio, per Demon si tratta di sperimentare il fallimento dell’organizzazione degli affidi e l’aspirazione di ascesa sociale potrebbe essere la squadra di rugby della scuola. La fuga dalle depressioni giovanili possono essere gli stupefacenti diffusi, ma la piaga sociale diventa la dipendenza da psicofarmaci abbondantemente somministrati e sponsorizzati dalle case farmaceutiche. Il riscatto potrà arrivare, stavolta non dalla scrittura ma dal fumetto.

L’inizio del capitolo 23 è dedicato alla opinione del protagonista sulla sua esperienza scolastica vissuta fino a quel momento:

“Per la cronaca, io non ho sempre odiato la scuola. Anzi un tempo le dedicavo anche un certo sforzo. Uno dei più bravi a leggere, almeno fra i maschi. Forse credevo di rendere mamma orgogliosa. O forse volevo solo dimostrarle che non avrei mollato come aveva fatto lei. In ogni caso non aveva più importanza. Adesso guardavo gli altri ragazzi che alzavano la mano, davano le risposte giuste, e buon per loro. Oggetto delle risposte la battaglia di Appomattox, il ciclo vitale di una pianta, ma chissenefrega? Se tutto quello che ti interessa sapere è dov’è la porta per uscire di qui e che ovunque tu vada continuerai ad avere fame.

Gli insegnanti, il preside e Miss Barks mi facevano tutti la stessa predica perché non mi impegnavo abbastanza e non sfruttavo a pieno il mio potenziale. Io non mi ci metto nemmeno a discutere, con loro. Arrivi al punto che non te ne importa un accidente se la gente ti considera uno sfigato. Forse perché a quella conclusione ci eri già arrivato per primo. Avrei voluto dirgli: Ce l’avete davanti il mio potenziale, è quello che state guardando. Come cazzo volete chiamarlo? Ma credete davvero che l’abbia deciso io, di ritrovarmi a vivere dentro uno così?

Impegnarmi a fondo? Ve lo dico io com’è: cercate di arrivare in fondo a ogni giornata evitando di fami guardare male, di prendermi una parte di merda da un insegnante, di farmi ridere dietro dalle ragazze, o essere preso a cazzotti da qualche stronzo. Se per caso vi è mai capitato lo sapete già. Se invece provate a immaginarlo, non ci arriverete neppure vicino. Tutta quella gente doveva proprio continuare a chiedermi perché volevo mollare la scuola? Che potevo fare, se non guardare il muro e non dire niente, o al massimo mi dispiace? Stavo imparando ad apprezzare quell’orrido sapore di bruciato delle parole che mi sarebbe toccato mandare giù chissà quante volte. Mi dispiace.”

Quanti ragazzi incontrati in questo stato d’animo.

Subito dopo però, il confronto con l’esperienza di un precario lavoro estivo gli permette di riconsiderare la scuola come sistema:

“Quello di cui non ti rendi conto a scuola, è che tutti sono in cammino verso qualcosa. Anche se sei uno di quelli già fregati in partenza, partecipi lo stesso. Okay, ragazzi, arriviamo alla fine di questa lezione, di questo quadrimestre, di quest’anno. A maggio faremo i test di valutazione, forse la nostra disgraziatissima scuola otterrà un punteggio migliore, così gli insegnanti conserveranno il loro posto e passeremo tutti alla classe successiva. E comunque qualsiasi ragazzo pensa solo a crescere e perciò ecco fatto, progresso automatico.”

Tra i nuovi personaggi introdotti c’è una coppia di insegnanti, coppia mista, Mr Armstrong nero, consulente per l’orientamento e Ms Annie, bianca, insegnante di arte. Demon li incontra nella nuova scuola, l’occasione della nuova ripartenza, in un nuovo affido. I due insegnati sono un po’ l’emblema della pedagogia progressista, quegli insegnanti insomma che si prefiggono sempre di salvare il modo, saranno loro a valorizzare le capacità fumettistiche del protagonista.

Un bellissimo romanzo di formazione contemporaneo, scritto in modo efficace per una lettura veramente coinvolgente.

martedì 21 febbraio 2023

 

L’abolizione dei “bonus edilizi” una discussione parziale

La cialtronaggine con cui sono stati aboliti i bonus edilizi è dovuta soprattutto ai tempi con cui la decisione è stata assunta e per l’assenza di una qualsiasi altra soluzione. Si parla dei bonus legati al risparmio energetico e al miglioramento sismico degli edifici privati.

Per gli enti pubblici negli scorsi anni sono state investite risorse pubbliche tramite strumenti quali i “certificati bianchi” e il “conto termico”, con l’utilizzo anche delle ESCO (Energy Service COmpany), e chi sa se gli stessi strumenti possano essere ripensati anche per il settore privato.

Gli interventi sul risparmio energetico del patrimonio edilizio privato sono necessari proprio nell’ottica della riconversione energetica, per cui è miope riferire il solo costo sulle finanze pubbliche di questi interventi senza farne un bilancio ambientale in termini di riduzione della CO2 in atmosfera e sulla questione dei cambiamenti climatici. A quanto ammonta e ammonterà il costo dei soccorsi e del ripristino dei danni alle infrastrutture e al patrimonio edilizia a seguito dei danni dagli eventi meteorici anomali?

Gli interventi sul risparmio energetico del patrimonio edilizio non possono essere sostenuti direttamente dai privati cittadini per l’entità delle risorse richieste e perché per il singolo cittadino l’intervento può essere non conveniente o con tempi di rientro troppo lunghi. Bisogna tenere presente che il vantaggio economico di questi interventi è determinato anche dall’andamento del costo delle fonti energetiche. Il bene da perseguire è principalmente collettivo anche in riferimento alla scala degli interventi, quello del risparmio energetico, riferito alla prestazione energetica dei singoli edifici (nell’ottica che il miglior risparmio energetico è dato dall’energia non consumata) ha una economia di scala più o meno individuale; mentre l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili ha una economia di scala anche collettiva. I due interventi hanno una forte complementarità, se ho bisogno di meno energia posso usare sistemi di produzione anche meno potenti.

Anche gli interventi sul miglioramento antisismico degli edifici privati presentano problematiche simili, al di là dei costi umani per il numero delle vittime i costi in termini di stanziamenti pubblici dei terremoti in Italia dal 1968 al 2012 è stato di 121 milioni di euro (attualizzati al 2014) https://www.cni.it/images/News/2016/I_costi_dei_terremoti_in_Italia.pdf

Anche in questo caso i costi sono difficilmente sostenibili dalle singole famiglie, si aggiunga inoltre la difficoltà di addivenire alle decisioni a livello condominiale e ancora più complesse nell’ambito dei centri storici (maggiormente a rischio) dove le proprietà private a volte non vanno da “terra a cielo” e comunque implicano interventi su muri confinanti ed altre varie complessità.

Come al solito dopo ogni terremoto sentiremo la solita tiritera della necessità di interventi di prevenzione, Il territorio italiano (al netto del mistero Sardegna) è quasi totalmente con pericolo sismico da 3 a 1.

Un elemento di criticità dei bonus attivi fino all’altro giorno è stato l’innalzamento dei costi degli interventi (al di là delle truffe che …) ma stiamo parlando di un mercato regolamentato, non certo di un mercato libero per cui qualche intervento da questo punto di vista si sarebbe potuto fare. L’atro intervento poteva essere quello di un intervento di tipo strutturale e non contingente, con tempi molto più lunghi di possibilità di utilizzo dello strumento.

Infine, la questione delle imprese edili. Dobbiamo scontare il fatto che il settore dell’edilizia si è poco industrializzato in termini di dimensioni aziendali con tutte le conseguenze del caso, siamo in presenza di un settore con un know aut di tipo artigianale. È almeno dal secondo dopoguerra che una delle poche politiche economiche pubbliche puntano sull’edilizia, a partire dal “piano Fanfani” che aveva come titolo “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori” e che vedono nella crescita del settore edilizio il motore in grado di trainare anche gli altri comparti economici. Interventi che hanno avuto anche una ricaduta sulle trasformazioni sociali e occupazionali, l’edilizia è stato per molti il passaggio intermedio da immigrato contadino a operaio e ancora adesso lo si riscontra con l’immigrazione extracomunitaria. Nel caso citato, poi con il piano casa degli anni ’70 (dopo di che il vuoto) gli interventi pubblici miravano all’incremento del patrimonio di edilizia sociale, il tema ora è invece quello del recupero del patrimonio edilizio esistente per evitare di continuare a buttare solti del riscaldamento in un contenitore inefficiente e quantità di CO2 in atmosfera, per avere case più sicure in presenza di uno scuotimento sismico almeno per la tutela della vita.

martedì 13 settembre 2022

 

Ricordi belluschesi 16

“ul furmenton”

 

E’ tempo per “bat ul furmenton” ma la siccità di quest’anno presenta campi di mais in uno stato veramente pietoso. Già qualche tempo fa Roberto Invernizzi ci diceva “Con slancio poetico avrei voluto raccontarvi della bellezza della campagna belluschese con il trionfo del furmenton”, mi sono sentito sollecitato e allora vorrei parlarne io.

Il nome è mais (Zea mays), siccome proveniva da un altro modo e fu accoppiato all’altro cereale: il grano, lui fu chiamato “granoturco” in alcuni dialetti “melgot”. Fu importato in Europa al ritorno del primo viaggio di Colombo nel 1493 come altri prodotti come il pomodoro e la patata. Col fascino di una pianta esotica all’inizio fu coltivata nei giardini come pianta ornamentale, stava nei giardini della Villa Farnesina dei banchieri Chigi a Roma ed è affrescata nei festoni della loggia di Amore e Psiche della stessa Villa ad opera di Giovanni da Udine sotto la supervisione di Raffaello nel 1517. Altra curiosità: in occasione della visita di Papa Leone X a Firenze nel 1515 Giovanni Della Robbia produce una terracotta (ora al Baltimore Walters Museum) intitolata “Adamo ed Eva” in cui il ruolo della foglia di fico è sostituito dalla pianta del mais.

La diffusione nella nostra zona coltivata in modo intensivo è fatta risalire al primo ventennio del 1600. La coltivazione andò a sostituire altri cereali di minore produttività come l’avena, la segale, il farro e il miglio. La coltivazione del mais nella pianura asciutta a nord di Milano ha generato diversi problemi. Complice una diversa gestione dei contratti agrari che passano dalla mezzadria all’affitto a grano, nella zona si imporrà una rotazione agronomicamente sbagliata tutta cerealicola: grano – mais con impoverimento dei terreni. L’assenza di significativi allevamenti di bestiame (relegati a livello famigliare) non rendeva necessaria la produzione del foraggio. Per il foraggio dei pochi animali allevati si introduce una ulteriore pratica sconsigliata dagli agronomi: il taglio della efflorescenza superiore della pianta (pratica denominata “sciumà”).

Dal punto di vista alimentare la polenta di farina di mais diventa il piatto a volte unico dell’alimentazione contadina causando la diffusione della pellagra. Le popolazioni messicane utilizzavano la farina del mais dopo un particolare trattamento dei grani (ancora oggi si fa lo stesso trattamento nella cultura ispanica per la farina con cui si fanno le tortillas) che non generano gli effetti dannosi della pellagra.

Il termine “bat ul furmenton” è stato probabilmente traslato dalla modalità di separazione dei chicchi di frumento che poteva avvenire per battitura, non così era invece per il mais.

La raccolta avveniva a mano staccando la singola pannocchia dalla pianta, dopodiché, in cascina, si procedeva a togliere le foglie (scartos) che potevano essere usate per fare i materassi, e si sgranava la pannocchia con una apposita macchina azionata a mano, si raccoglievano i grani mentre il totolo (mulen) veniva anch’esso accantonato e utilizzato come combustibile invernale. La pianta veniva tagliata e utilizzata come foraggio, oppure bruciata nei campi e poi arata nel terreno. I grani di mais venivano fatti asciugare sull’aia e poi insaccati e macinati per ottenere la farina. La pannocchia ha una efflorescenza filamentosa detta “barba del furmenton” che veniva fumata di nascosto come prima trasgressione adolescenziale dell’epoca.

Una prima meccanizzazione ha riguardato la sgranatura con una apposita macchina azionata da un motore a scoppio oppure collegato attraverso un albero cardanico a quello del trattore che la portava sull’aia o nella cascina. Nella macchina venivano inserite, tramite un nastro trasportatore nell’alto della macchina, le pannocchie intere e raccolte comunque a mano, la macchina divideva i scarts, i mulen e i grani del mais insaccandolo. La macchina azionata tramite cinghie di trasmissioni non coperte da carter causava a volte incidenti non da poco.

Il mais doveva comunque essere fatto asciugare stendendolo per alcuni giorni al mattino sull’aia e raccolto prima di sera quando tramontava il sole, un gioco dei bambini era quello di entrare nella distesa dei grani con i piedi scalzi e disegnare dei solchi paralleli per accelerare l’asciugatura. Una parte del raccolto era tenuto per esigenze alimentari della famiglia e il resto veniva venduto, anche tramite il ruolo dei consorzi agrari.

Un secondo momento della meccanizzazione è avvenuto con delle grandi trebbiatrici che tagliavano la pianta a circa 10 – 20 cm dal terreno (lasciando sul terreno degli spuntoni che sono un attentato ai polpacci) ed era in grado di dividere i grani dal resto della pianta. Ora invece le nuove trebbiatrice tritano tutto insieme

Le varietà del mais sono tantissime, se ne avuta conoscenza durante l’ultima expo di Milano a cui era dedicato un padiglione tematico con le diverse varietà anche estremamente curiose come quelle di colore nero o viola.

Nel secondo dopoguerra è stata introdotta una nuova varietà ibrida che è quella più diffusa e che è ormai la sola coltivata nella nostra zona, più produttiva e adatta ormai soprattutto per la produzione di mangimi animali utilizzando la pianta intera come “trinciato”.


Giovanni Della Robbia "Adamo ed Eva" 1515


mercoledì 25 maggio 2022

 Ricordi belluschesi 15 bis

Le battaglie ecologiste

Se vogliamo stare dentro il discorso di “Ricordi Belluschesi” abbiamo avuto a Bellusco anche la sede di un circolo di Legambiente, è durato due o tre anni dall’1986 all’89 circa poi ognuno dei componenti è stato preso da altri impegni e l’iniziativa si è spenta.

Sono stati anni importanti, con la prima battaglia contro i sacchetti di plastica per la spesa, il referendum sul nucleare e la prime elaborazione della proposta per il “parco Rio Vallone”. 

https://1drv.ms/b/s!AsPvGMHqjI34rUi7VSkI56331NeO?e=1WXc0I 


Tra le iniziative fatte anche un “corso base di ecologia” con la partecipazione di soggetti molto importanti dell’ecologismo nazionale: Laura Conti: direi “la mamma dell’ecologismo italiano”, impegnata come medico sulla vicenda dell’ICMESA di Seveso è tra i fondatori di Legambiente, come Ercole Ferrario a cui ora è intitolato il “Parco Nord Milano”, Giorgio Shultz passato poi al Partito Umanista e al pacifismo e Alfredo Viganò urbanista calato nella gestione concreta e quotidiana delle proposte ecologiste.

Proprio a partire dalle riflessioni di Laura Conti si è capito che la questione ecologica è un oggetto delicato da maneggiare.

“L’ecologia è l’unica scienza che oltre agli scienziati ha un folto stuolo di paladini […] Quest’ultima in Italia, infatti, conta su pochi professionisti, ma su decine di migliaia di paladini” Si capisce che il rischio di cadere nel populismo non è irrilevante. Ma se si sono ottenuti bene o male dei risultati in questo campo è stato fatto per mezzo della mobilitazione dei cittadini.

Dentro questa esperienza ho portato a casa un paio di concetti forti.

Lo slogan” pensare globalmente, agire localmente”, anche i ragionamenti e le proposte generali possono avere dei risvolti locali, alla portata e all’impegno di ognuno. Così come un problema locale può essere capito meglio in un ragionamento più ampio.

L’altra questione si riferisce al fatto che l’ecologia è una scienza, come si dice “olistica” o “di sistema”, un concetto che è diventato poi di moda e abusato, forse superato in questi anni da quello di “resilienza”. Per capire questa cosa ci è venuto in aiuto in quegli anni un racconto di Italo Calvino contenuto nel libro “Le città invisibili” del 1972:

“Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. «Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?» chiede Kublai Khan. «Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra – risponde Marco –, ma dalla linea dell’arco che esse formano». Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: «Perché mi parli delle pietre? È solo l’arco che m’importa». Polo risponde: «Senza pietre non c’è arco».

L’ecologia è così, se ti fermi troppo a ragionare sul singolo elemento non riesci a capire che quell’elemento lì ha diverse e complicate relazioni con altri e che una serie di elementi compongono un insieme che sta in piedi. In più l’ecosistema a differenza dell’”arco di Marco Polo” è un sistema dinamico evolutivo sia nella componente naturale che nella presenza umana. Un ragionamento possibile è quello di trasformare tutto in quantificazione energetica, ma è una delle semplificazioni possibili. Nella realizzazione dei prodotti un conto sensato, ma non ancora puntualmente applicato, partirebbe da quanta energia occorre per procurarsi le materie prime, quanta se ne consuma per la produzione, quanta per l’uso, per le manutenzioni e per lo smaltimento finale e nel ragionamento andrebbe considerata la durata di questo ciclo. Ma passando dai prodotti alle azioni non ci si può fermare alla somma dei prodotti coinvolti, ci sono importanti ricadute sociali.

Abbiamo anche a disposizione strumenti e normative che hanno indirizzato il problema come la Valutazione d’Impatto Ambientale o la Valutazione Ambientale Strategica, ma anche se non applicate in modo meramente burocratico, sembrano ancora insufficienti, però almeno ci fornisco dati e ipotesi di effetti sull’ambiente.

Ragionamenti complessi che spesso non danno risposte semplici e che è difficile gestire con la mobilitazione dal basso. Per fare un esempio: qualcuno può sostenere sinceramente di avere in tasca la soluzione definitiva per Taranto?

Per uscire da una posizione che potrebbe sembrare relativista e di arresa, bisogna saper coinvolgere il decisore cioè la politica e quindi ancora i paladini sapendo che le soluzioni non sono facili.

Torniamo alla nostra Pedemontana.

Abbiamo già detto che è impostata male e sbagliata, ma intanto un pezzo è già fatto e a questo punto dove la facciamo finire? Li dove è arrivata adesso senza avventurarsi sul bosco della diossina? Oppure la facciamo arrivare ad occupare, in modo altrettanto complicato ad occupare la sede dell’attuale Milano Meda? Ragionando sulla tratta D la proposta della D breve fa meno danni dell’ipotesi della D lunga, meno territorio niente nuovo ponte autostradale sull’Adda. La D breve è un doppione del prolungamento della tangenziale est a un paio di chilometri in linea d’aria in parallelo, la prima sarebbe comunque a pagamento la seconda no. La proposta va ad aggravare la situazione del comune di Agrate, già pesantemente interessato da tratti e svincoli autostradali, inoltre gli assi autostradali diventano essi stessi nuovi attrattori di nuovi insediamenti produttivi e commerciali, certo questa situazione è di pertinenza (non totalmente) dei comuni ma si sa poi le amministrazioni cambiano. Una ipotesi sarebbe quella di fare concludere la tratta C all’intersezione del prolungamento della tangenziale est a nord di Vimercate, con ancora due problemi, un aumento del traffico su questo tratto e la mancata connessione ad Agrate tra tangenziale Est e autostrada A4.

E se si rinunciasse anche alla tratta C, rimarrebbe lì un residuato un po’ inutile. meglio inutile che dannoso?

Dopo di che rimane il macigno dell’eccessivo trasporto su gomma delle merci e della condizione del tratto urbano della A4, se si vuole seriamente trasferire le merci sul ferro occorrono comunque nuove infrastrutture compresi gli interscambi ferro-gomma, ma non basterebbe, bisogna rendere più economico ed efficiente il trasporto merci su ferro affrontando la situazione che si verrebbe a creare con gli autotrasportatori, siamo in grado di “costruire l’arco”?