martedì 4 febbraio 2020

Famiglia i nomi e l’urbanistica


Ricordi belluschesi 8

Famiglia i nomi e l’urbanistica

I miei parenti paterni sono chiamati “i troni” e deriva dal fatto che il mio bisnonno gestiva una osteria. Probabilmente l’importazione dei vini di più forte valore alcolico dal sud serviva per tagliare vini di minore gradazione alcolica della nostra zona, quindi l’importazione di vino da Trani: località della Puglia ha dato il nome alle osterie che erano chiamate “trani”.
Nelle nostre campagne la vite era coltivata “maritata” ai gelsi, si usavano cioè i gelsi come supporto per i tralci della vite. Nell'ultimo ventennio dell’Ottocento la fillossera a distrutto gran parte del patrimonio viticolo europeo e anche da noi le viti originarie sono state sostituite dalla vite “americana”, con scarse qualità dal punto di vista vinicolo, si produceva un vino dolciastro chiamato “ul pincianel” di uso ormai strettamente personale. Da allora sarà quindi aumentata l’attività di importazione dei vini da altre parti d’Italia.
L’osteria era situata in via Bergamo all'altezza degli attuali numeri civici 24 e 26 recentemente ristrutturati da un ramo della famiglia “di troni”. Sulla mappa catastale del 1855 questa zona del paese non era ancora urbanizzata ma si possono notare le variazioni successive che vanno a raddrizzare ed allargare la vecchia “strada del castello” che diventa importante asse di traffico, la realizzazione della linea ferrata del 1890 ha dato la configurazione attuale di questa zona. La linea del tram era utilizzata anche per il trasporto merci e in questa zona era presente un binario morto che serviva per il carico e lo scarico delle merci ed era probabilmente collocato sull'attuale
era a parcheggio, le case in questo tratto sono arretrate rispetto a quelle che vanno verso la piazza. Da notare inoltre che i cortili che si formano sono molto diversi da quelli tradizionali, sono infatti insediamenti commerciali, a partire dal civico 14 che era chiamata “curt del negusiont” e anche ai numeri civici 18, 20 e 22 e quelli di fronte. Erano cortili senza stalle, un corpo edilizio sul lato corto verso strada e poi il lotto si sviluppava in profondità con portici o laboratori per il deposito o la lavorazione delle merci. In fianco, appunti, c’era l’osteria “di troni”.
I tre figli del mio bisnonno non hanno continuato l’attività ma hanno cambiato indirizzo, mio nonno Enrico (Ricü), tre figli e Adrea (Indrien), sette figli, hanno gestito in comune fino alla fine della Seconda guerra mondiale un commercio di vitelli, inoltre vivevano come un’unica famiglia (anche tra secondi cugini ci si sente in realtà un po’ primi) Mario invece ha gestito una macelleria a Boviso Masciago, poi portata avanti dal figlio Osvaldo. L’Osvaldo ogni tanto arriva a Bellusco con una bicicletta sportiva da corsa oppure con qualche auto sfolgorante di cui era appassionato.
Mio nonno Enrico era un tipo particolare e molto volitivo, ha avuto tre figli mio papà Ettore, Luigi e Carlotta, ma si lamentava di tutti e tre, secondo lui non sarebbero stati in grado di portare avanti l’attività. “Ste nuove generazioni chissà cosa saranno in grado di fare!” (Non mi sembra nuova questa affermazione).
La moglie si è ammalata di cuore per cui al momento della separazione delle famiglie con il fratello Andrea la zia Carlotta già sposata c’era quindi bisogno di una donna in casa e così che hanno accelerato il matrimonio dei miei che si sono sposati il 2 gennaio del 1947, i festeggiamenti si sono svolti in casa con tutto da preparare e il nonno che imprecava contro la zia Carlotta che non si faceva vedere salvo poi scoprire che aveva partorito un figlio proprio lo stesso giorno. Al contrario dei figli la nuora gli era entrata in simpatia. Gli piaceva molto la mostarda e diceva a mia madre che morto lui non l’avrebbero più comprata a Natale perché mio padre spendeva troppi soldi per comprare libri e giornali (effettivamente una passione che ha poi mantenuto), è così che invece, anche da noi sotto le feste di Natale si comprava una latta da 5 chili di mostarda proprio per smentire il nonno.
L’attività di compravendita dei vitelli comportava la gestione di una stalla nel cortile che con il continuo via vai di mezzi e bestiame spesso si sporcava, mia madre provvedeva a spazzolare il cortile, ma anche su questo il nonno aveva una sua opinione: “Va bene pulire, ma non troppo, qualche filo di paglia bisogna lasciarlo, perché se no la gente pensa che lì non si lavori abbastanza”. Nei racconti dei miei genitori l’apoteosi delle sue stranezze l’ha raggiunta una volta che dopo una furiosa litigata aveva concluso un contratto in cui si era sentito raggirato e ha preso i soldi li ha gettati nel letame della stalla e li rimestava, con mia madre che cercava di calmarlo.
E veniamo alla storia dei nomi, un po’ particolare. Quando nasce mio fratello eredita il nome del nonno: Enrico, quando nasce mia sorella il parroco decide che deve ereditare il nome della nonna quindi Enrichetta. Soltanto che la nonna non si chiamava affatto Enrichetta, ma Rachele, tutti la chiamavano Enrichetta in quanto moglie di Enrico, tra l’altro siccome la cognata si chiamava effettivamente Enrica in paese venivano chiamate Richeten e Richeton Il parroco si accorge dell’errore subito dopo il battesimo ma ormai la cosa era registrata e si rifarà su mia cugina due anni dopo.
Morto mio nonno l’attività di compravendita dei vitelli l’ha portata avanti mio papà. Comprava i vitelli nei mercati della Val Brembana a San Giovanni Bianco e poi con una specie di mezzadria li assegnava ai contadini che li richiedevano da ingrassare, al momento della vendita del vitello l’importo era diviso a metà, se il vitello fosse morto la perdita sarebbe rimasta a carico dei miei. Un contratto effettivamente un po’ strano, ma da noi non esistevano grandi allevamenti di bestiame da carne.
Per svolgere questa attività, morto il nonno, mio padre acquista un camion. Con questo mezzo che in settimana veniva usato per i vitelli, la domenica si metteva una panca di legno nel cassone e si ricordano gite memorabili con tutti i cugini a: Madonna del Bosco, Caravaggio, Madonna della Cornabusa.
I miei genitori erano molto impegnati prima in Azione Cattolica, poi nei Comitati Civici della Democrazia Cristiana, una specie di super militanti in chiave anticomunista che dovevano sostenere la difficili campagne elettorali del 46 e del 48, mi hanno raccontato che una volta col famoso camion sono andati con un gruppo di aderenti belluschesi al comizio di De Gasperi in piazza Duomo a Milano e galvanizzati dal leader decidono di attraversare il centro di Sesto San Giovanni (che loro chiamavano Sesto San Palmiro) con gli uomini nel cassone scoperto a catare a squarciagola l’inno della DC “bianco fiore” recuperando ovviamente una fitta sassaiola. Questo episodio in realtà è saltato fuori in famiglia quando negli anni Settanta si discuteva animatamente di politica con mio padre che mi dava dell’”estremista”, quando la discussione si animava un po’ troppo, mia madre per calmare le acque si metteva in mezzo e rivolta a mio papà: “dai tas che se dervi me ul liber…”