sabato 28 dicembre 2019

ricordi storici e “ricordi geologici”


Ricordi belluschesi 5

Stavolta mischiamo ricordi storici e “ricordi geologici”.

Circa 2.000.000 di anni fa la nostra zona era interessata da forti periodi di espansione e ritiro dei ghiacciai che trasportarono verso la pianura consistenti quantità di materiali, è così che proprio da noi si formano delle morene laterali tipiche dei ghiacciai, sopra queste morene laterali abbiamo la Cascina San Nazzaro, e l’abitato di Bernareggio. L’avvallamento che abbiamo tra Bellusco e San Nazzaro non è stato scavato da un torrente ma dal ritiro di un ghiacciaio, anche quello tra Vimercate e San Nazzaro è stato disegnato da un’altra lingua di ghiacciaio. Queste morene disegnano dei movimenti nel paesaggio anche se modesti e contenuti. Essendo inadatti alla coltivazione ospitano da circa duecento anni i boschetti di robinie.
Una delle sponde di queste morene è stata utilizzata splendidamente dal punto di vista architettonico per collocarci la chiesa parrocchiale che presenta quindi un bel sagrato in salita. Così come ha sottolineato il Card. Martini nella sua visita pastorale, la “salita al tempio” è un’azione mistica.
In dialetto questi avvallamenti li chiamiamo “avai” rispettivamente gli “avai de Casina Musca” e gli “avai de Vimerca”. Negli anni recenti ci è piaciuto pronunciarli come il cinquantesimo degli stati federati agli U.S. “gli Hawaii”.
Mi dicono che queste modeste salite erano comunque un problema per il tram che passava da Bellusco e a volte i passeggeri erano costretti a scendere per permettere al tram di superare le salite, fatta anche loro la salita a piedi poi vi risalivano. La lentezza del mezzo, che è stato tolto nel 1958, aveva anche qualche vantaggio, mi dicono che c’era un belluschese che abitava vicino alla fermata del tram che prendeva per andare a lavorare a Monza, ma si sa i più vicini sono anche i più ritardatari per cui prendeva il tram all’ultimo momento con ancora la scodella della colazione in mano, colazione che finiva di consumare all’altezza di Cascina Mosca dove buttava nel prato la scodella che la madre poi recuperava in mattinata.
L‘espansione urbana della metropoli milanese ha consumato soprattutto territorio a nord della città, il vimercatese ha risentito molto meno della crescita urbana ma si è caratterizzato per un forte pendolarismo verso Monza, Sesto e Milano. Ancora adesso abbiamo ampi spazi non urbanizzati che nel tempo hanno sempre stimolato gli appetiti dei pianificatori alla grande scala
Quando c’erano i nebbioni seri era proprio negli avvallamenti che si “tagliava a fette”, nonostante questo a un certo punto hanno pensato di progettare un aeroporto proprio tra Vimercate e Bellusco che avrebbe dovuto supplire alle chiusure di Linate in caso di nebbia (sic!). La costruzione dell’omnicomprensivo era già conclusa e l’incidente avvenuto il 9 dicembre 1990 a Casalecchio di Reno dove un’areo è precipitato su una scuola uccidendo 12 ragazzi ha probabilmente convinto tutti che non era il caso.
Poi si è parlato di un nuovo carcere, dello spostamento dell’autodromo di Monza, anche il nostro “Corso Alpi” da Aicurzio avrebbe dovuto rimanere nell’avvallamento e raccordarsi con il provinciale Monza-Trezzo dove ora si trovano dei capannoni e invece poi è stato spostato a est del paese.
Il fondo di questi avvallamenti è caratterizzato da strati di ghiaia che rendono i terreni più “freschi e asciutti” e quindi molto produttivi dal punto di vista agronomico., al contrario i terreni a est del paese, fino al “canyon” dell’Adda i ghiacciai lasciarono terreni molto paludosi con conseguente depositi di sabbie e argille che rendono ancora adesso questi terreni molto impermeabili e meno produttivi per l’agricoltura.
La morena laterale di sinistra si abbassa sempre più spostandoci verso sud e va a lambire la cascina Camuzzago, al suo piede si infila il percorso del torrente Cava. Ma anche in questo caso la chiesa e il chiostro sono collocati sul margine della morena andando a caratterizzare un altro angolo architettonico molto interessante che è il raccordo tra la cascina e l’antico chiostro di Camuzzago con relativa scalinata sotto il portico.

carta geologica d'Italia


la scuola media


Ricordi belluschesi 4


Qualcosa di più leggero


Il 31 dicembre 1962 nasceva in Italia la scuola media unificata che nel testo di legge si chiama “scuola secondaria di primo grado”: i ritorni storici…


Prima di allora per chi voleva proseguire gli studi dopo la licenza elementare esistevano due percorsi: la Scuola Media che era stata derivata dai percorsi ginnasiali (da qui è rimasta la dizione di quarta e quinta ginnasio per il primo biennio del liceo classico) e la Scuola di Avviamento al Lavoro. Nessuno di questi due percorsi erano disponibili a Bellusco, ma per frequentarli bisognava andare a Vimercate o a Monza.
Con l’anno scolastico 1963-64 parte anche a Bellusco la scuola media occupando parte della scuola elementare, nel frattempo viene ampliato l’edificio con un ingresso separato, è ancora riconoscibile come il corpo più a sud dell’edificio attuale della scuola elementare con il suo ingresso (quello vicino alla mensa).
La prima leva che ha frequentato la scuola media a Bellusco è stata quella del 1952.
La mia classe è entrata nell’anno scolastico 1969-70 c’erano tre sezioni: la A prevalentemente maschile e faceva francese, la sezione B tutta femminile sempre di francese e la sezione C mista che faceva inglese.
Fino a due anni prima la scuola media di Bellusco era frequentata anche da ragazzi e ragazze di Sulbiate e di Mezzago e poi solo da quelli di Mezzago. E insomma ci voleva un po’ di tempo per integrare gli “stranieri” che venivano da fuori paese. Il passaggio dalle scuole elementari alle media comportava per i maschi l’abbandono della “blusa nera col fiocco blu”, mentre per le ragazze il grembiule è durato qualche anno ancora. Si abbandonava la cartella a favore dell’elastico che a fatica riusciva a contenere il libro di “Epica” che durava tre anni. Ai miei tempi oltre alle normali ore mattutine c’era il doposcuola comunale nel pomeriggio in cui si facevano i compiti o si rifacevano gli argomenti del mattino, per cui continuava per altri tre anni il supplizio della mensa.
Gli anni delle medie erano anni di passione soprattutto verso le professoresse che avevano il fascino delle donne di città.
In prima l’insegnante di lettere era la professoressa Colli, veniva da Milano con una Fiat 850 blu, sempre elegante, trucco “significativo” e fondo tinta consistente, capelli cotonati e laccati, ma lei poteva: era una professoressa, era di Milano. Quello è stato il suo ultimo anno a Bellusco. I progetti per andarla a trovare un pomeriggio sono tutti naufragati, troppo avventuroso arrivare fino a Milano per dei ragazzi delle medie di quegli anni.
In terza media ci è arrivata la professoressa Skopinic, anche lei veniva da Milano ma coi mezzi pubblici. Bionda, alta, quel po’ trasandato che faceva colpo. Ed erano anni caldi, strategia della tensione, referendum sul divorzio, la Skopinic era dichiaratamente di parte, una passionaria, ma che apertura mentale! Mi ricordo ancora una ricerca in cui mi ero impegnato tantissimo sulla questione palestinese, e un tema “La felicità sta al diciassettesimo piano” a me sembrava bellissimo e invece secondo lei ero andato fuori tema. Con lei siamo andati un pomeriggio a vedere la mostra a Milano sul pittore Ligabue e i “naif”. Che avventura! Così un bel giorno una delegazione della 3A va dal vicepreside e chiede l’organizzazione di un cineforum. La risposta un po’ rude: “ma andate a studiare che avete gli esami”, però alla fine un film ce l’hanno organizzato un mattino all’oratorio me lo ricordo: “Uomini contro” di Franco Rosi con Gian Maria Volontè.
La materia di “Applicazioni tecniche” era divisa per maschi e femmine, i ragazzi avevano il loro laboratorio nello scantinato, con un saltello toccavi il soffitto, norme di sicurezza? Non esisteva il problema. Gran lavori di traforo.
Sui corridoi la vigilanza era ferrea a cura di Luigetto e Maria.

la 3A  a.s. 71/72


lunedì 25 novembre 2019

Bellusco nel terremoto dell'Irpinia del 1980


Ricordi belluschesi 3

Bellusco nel terremoto dell'Irpinia del 1980

Oggi 23 novembre ricorre l’anniversario del terremoto in Irpinia, era il 1980 39 anni fa. È stato il mio primo intervento di protezione civile anche se non ancora inquadrato in una organizzazione (del resto la protezione civile ancora non esisteva), si era attivato un gruppo di uomini e giovani intorno all’oratorio. In realtà la mente di tutto è stato Don Fedele parroco di Porto d’Adda (ma anche insegnante di religione al Banfi) che insieme ai suoi parrocchiani si era mobilitato per il terremoto del Friuli del 1977, in quella occasione con un aggancio di parrocchiani originari dei paesi terremotati era riuscito ad organizzare un intervento diretto con squadre di volontari che hanno montato case provvisorie utilizzando le baracche di cantiere, quindi raccolta fondi, acquisti delle baracche di cantiere, trasporto sul posto e montaggio, tutto in gestito in proprio con volontari. Sulla base di questa esperienza tre anni dopo si rimette in moto la macchina organizzativa per l’Irpinia, scegliendo anche questa volta un centro periferico rispetto al “cratere” dell’evento: Spiano, una frazione di Mercato San Severino in provincia di Salerno. Stavolta l’intervento è più impegnativo e Don Paolo raccoglie l’appello di Don Fedele e la parrocchia di Bellusco partecipa attivamente all’operazione. Le squadre si alternavano ogni settimana e anche il modello di baracche scelto cambia, si sceglie un modello un po’ più confortevole, si realizza la piattaforma di calcestruzzo come piattaforma e poi sopra si montano le casette provvisorie. Come volontari eravamo ospiti delle famiglie che avevano conservato la casa senza danni. Don Fedele no, lui dormiva sul pulmino che serviva per il viaggio perché aveva paura dei terremoti e non si fidava a dormire nelle case. Il contatto in questo caso era il parroco che chiamavamo “don terremoto” perché si ostinava ad usare la chiesa per le funzioni anche se il tetto presentava una evidente apertura. Ma a “don terremoto” non mancava la dialettica raccontava una sera dopo il lavoro che in paese era ancora in vigore la pratica di far benedire dal parroco la nuova automobile appena acquistata, ora un parrocchiano subito dopo la benedizione fa un incidente in cui si salva la vita ma la macchina non è recuperabile e ritorna dal parroco per chiedere chiarimenti sull’efficacia della sua benedizione e lui gli risponde “Cosa vuoi di più ti sei salvato la vita!”.
Sono state diverse le persone di Bellusco che si sono impegnate nella raccolta fondi e poi che si sono alternate nelle settimane di lavoro a Spiano. La continuità del cantiere era garantita da due ragazzi di una comunità di recupero per tossico dipendenti. Sembra incredibile, ma è stata questa la terapia che li ha tirati fuori, un’operazione che solo il coraggio di sognare di Don Fedele poteva concepire. Uno dei ragazzi mi ha raccontato che era sceso anche suo padre a trovarlo e continuava a piangere perché non ci credeva che fosse proprio suo figlio a fare questa cosa.
Spiano era una frazione poverissima, l’unica attività produttiva era la realizzazione di scale a pioli in legno, con tutta una lavorazione artigianale incredibile per raddrizzare i legni dei montanti laterali. L’impatto con questo sud e con la famiglia che mi ha ospitato è stato molto forte, intanto il ricordo di una pasta e fagioli che ormai è diventata mitica, non ce né stata più nessuna uguale. Il locale per il pranzo aveva il pavimento in terra battuta ma aveva un televisore da cui passavano le pubblicità dei prodotti per la pulizia dei pavimenti e mi domandavo se solo io vedevo la contraddizione. Il personaggio più importante della famiglia era il figlio maggiore, qualche anno più di me, aveva ottenuto un impiego fisso e pubblico al catastato! E “teneva il 128”. La figlia che chiedeva anche lei di fare la patente aveva messo in crisi la famiglia: cosa avrebbero detto in paese di una ragazza che fa la patente?
Ad un certo punto l’operazione Spiano arriva alle orecchie della Caritas Ambrosiana che doveva decidere come utilizzare i fondi raccolti, chiama Don Fedele e gli da carta bianca ma per intervenire su Sant’Angelo dei Lombardi, nell’epicentro dell’area. La città aveva perso nel terremoto il sindaco, tutto il consiglio comunale e il vescovo, la direzione amministrativa viene assegnata al farmacista e poi gira la voce che vorrebbero Don Fedele come vescovo, ma lui si oppone deciso, tra l’altro gli chiedono di utilizzare i fondi per ricostruire l’”episcopio”. Ma Don cos’è? Io con quel nome conosco solo un apparecchio in grado di proiettare sul muro le pagine di un libro (prima delle nuove tecnologie, in qualche scuola lo potrete trovare negli scantinati), ma no! “E’ la casa del vescovo”. Non se ne parla neanche con tutta la città a terra. Studia e ristudia Don Fedele tira fuori un’altra delle sue idee. “Qui l’attività principale è l’allevamento ma poi il latte lo vendono a prezzi bassi, ma se invece gli mettiamo in piedi una cooperativa agricola per l’uso dei mezzi agricoli e gli facciamo imparare a produrre e commercializzare i formaggi prodotti, superiamo il terremota gli diamo una svolta”. Detto fatto, mette in piedi anche una attività formativa, alcuni agricoltori di Sant’Angelo vengono ospitati per un periodo e formativo presso aziende agricole del sud Milano per poi ritornare a mettere in piedi le attività di trasformazione.
Don Fedele non si può farlo santo perché poi si è innamorato, si è sposato, ha avuto un figlio che ha battezzato con il mio nella notte di Pasqua del 1989 a Fontanelle da Turoldo.
Aggiungo la foto della nostra squadra, tre belluschesi, un ragazzo di Vimercate e i due ragazzi che gestivano la continuità del cantiere.

La Latteria


Ricordi belluschesi 2

La Latteria

Stavo raccogliendo i pensieri per ordinarli in altri ricordi belluschesi, ma stamattina ci ha lasciato “ul Mandel” e allora mi concentro sulla “Latteria”, Personaggi pieni di vita ed esuberanti che può portarseli via solo un infarto. Adesso Enzo ricomincerà le sue interminabili discussioni con l’altro protagonista del bar: il “Ca-Carletu” sul calcio o meglio su Milan e Inter.
La Latteria ha aperto nel 1963 e subito qualche tempo dopo ha cominciato ad essere frequentata dai giovani belluschesi ed è stata il punto di riferimento per la “beat generation” belluschese.
50 metri quadri in totale, due banchi, quello della latteria e quello del bar, tre tavolini, 12 sedie il jukebox (50 lire una canzone 100 lire tre canzoni) e il flipper, quest’ultimo a furie di spinte e colpi d’anca, ma senza mandarlo in tilt, ha lasciato i segni scavando le piastrelle del pavimento. Un retro che in teoria doveva essere la cucina privata ma che in pratica diventava il prolungamento del bar, ogni tanto quando tornavo da scuola mi trovavo a mangiare in un angolo del tavolo mentre sullo stesso tavolo della cucina giocavano a carte. Durante il mio turno di servizio per leggere mi rincantucciavo tra la vetrina e la macchina del caffè.
Non esisteva il divieto di fumo per cui spesso l’aria diventava irrespirabile
Il bar non serviva super alcolici se non per la correzione del caffè, le bevande più diffuse quelle più economiche: la gazzosa, la spuma (in tutte le sue varianti), l’acqua e menta, d’estate grandi quantitativi di ghiaccioli.
All’inizio era frequentato anche da diverse ragazze, con grande scandalo in paese. Ragazzi e ragazze, giovani, insieme nello stesso bar si diceva: “è come mettere la paglia insieme al fuoco”. Poi il machismo l’ha fatta da padrone le ragazze sono scappate. Per evitare gli sguardi insistenti e il “gallismo machista” di quei giovani le ragazze evitavano di passarci davanti, oppure altre ci passavano spesso.
Però stranamente per un periodo il sabato e domenica sera d’estate, quando i giovani andavano nelle sale da ballo arrivavano le famiglie per farsi una coppa di gelato con l’amarena Fabbri.
Se d’inverno lo spazio era davvero “ristretto” non impediva però di organizzare tornei di scopa, di “cutecc” e perfino di scacchi.
D’estate lo spazio si dilatava tutto all’esterno fino ad occupare il marciapiedi al di là di via Bergamo.
I giovani erano studenti e lavoratori ma in generale le disponibilità economiche erano limitate. Erano gli anni del boom economico, le prime automobili, le prime vacanze in riviera romagnola o a Lignano.
Se avete presente i film dei Vanzina sugli anni ’60 qui li ho visti o sentiti raccontati tutti dal vero. La goliardia era sempre nell’aria ma divieto assoluto di bestemmiare se no si sentiva il rimprovero di Giannina.
Il bar all’inizio non aveva il giorno di chiusura ma chiudeva solo mezza giornata a Natale, ma anche nel pomeriggio di Natale si trovavano li fuori e non sapendo dove andare magari si inventavano di andare a prendere un caffè a Venezia.
Oppure quella volta che avevano accompagnato il loro amico in stazione centrale a Milano che partiva per il CAR a Genova e poi si sono guardati in faccia e si dicono “cosa facciamo adesso?” Ed uno: “E se gli facciamo una sorpresa e andiamo in macchina a Genova ad aspettarlo alla stazione?” Detto fatto.
I ricordi sarebbero tantissimi, magari qualche cliente di allora si sbilancia a raccontare quello che si può raccontare, ma come non ricordare la gara a cronometro di ciclismo inventata li per li una domenica pomeriggio, o i tornei di calcio.
Come per tutte le generazioni di giovani erano in conflitto con gli adulti, a bar chiuso continuavano a rimare li fuori o a giocare a calcio sull’incrocio di via Roma via Bergamo e allora dalle finestre intorno arrivavano secchiate d’acqua condite con l’epiteto “andì in lecc barbuni”.
Si lasciava la compagnia appena si “metteva la testa a posto”, qualcuno ha passato li diverse ondate e a un certo punto sono comparsi anche due anziani: “ul Fredu” e “il Cigno” che probabilmente non volevano invecchiare.
Qui sono comparsi i primi capelloni, i pantaloni a zappa d’elefante, le camicie a fiori, il maxi-cappotto, gli eskimo, i jeans sfrangiati, le espadrillas.
Il pezzo forte della latteria era la cioccolata con la panna.
Nel 1977 la Latteria si converte in pasticceria, divieto di fumo e niente carte da gioco. Si interrompe il passaggio generazionale, anche se il pezzo forte della pasticceria: le pizzette il sabato pomeriggio, un certo passaggio si è mantenuto.
La gestione del bar si è conclusa alla fine del 2010 con una grande festa degli ex nel cortile.
Allego il link alla canzone di Davide Van De Sfroos “L’esercito delle dodici sedie” che richiama molto dell’atmosfera del bar

La via Bergamo a Bellusco negli anni '60


Ricordi belluschesi 1

La via Bergamo a Bellusco negli anni '60

Agli inizi degli anni Sessanta la via Bergamo era ancora molto disabitata, partendo dalla via Roma e uscendo dal paese c’erano già sulla sinistra la villa Gatti, quella della farmac
ia, e quella dopo detta dei Cagnola. La villa Carozzi che era già suddivisa in appartamenti, la cascina “bergamina” ora scomparsa, l’officina di “Guido fere” ora trasformata in palestra, il cortile della “furnas” toponimo che richiama una preesistente fornace, la casa dei Brambilla con la carrozzeria e la concessionaria Volkswaghen e poi un nucleo intorno alla cascina Bellana che era l’ultima casa del paese. Sulla destra il condominio d’angolo con la via Suardo è stato terminato nel ’63, prima c’era un giardino e frutteto con una recinzione che non impediva ai ragazzi di scavalcare per “rubare” un po’ di frutta, un paio di fabbricati più o meno di fronte alla farmacia e poi più nulla fino al nucleo di fronte alla “furnas” attiguo alla Lei Tsu un ulteriore edificio vicino e poi più nulla. I condomini che troviamo ora sulla destra sono stati realizzati nella seconda metà degli anni ’60. Non esisteva Corso Alpi.
La via non aveva i marciapiedi ma fossi laterali scolmatori, con paracarri in granito grandi quanto un bambino di 5-6 anni, i ragazzi un po’ più grandi riuscivano ad andarci a cavalcioni. Sul lato nord lungo la recinzione Gatti, fino alla villa Carozzi esisteva un terrapieno piuttosto alto su cui da bambini si giocava e ci si rincorreva. La scarsa luminosità ci permetteva nelle sere di maggio, dopo l’uscita della chiesa per la recita del rosario, di andare a caccia delle lucciole, in alternativa al gioco dei quattro cantoni con le colonne del pronao della chiesa. Il rientro a casa comprendeva la ramanzina perché si era fatto tardi e perché si era tutti sudati.
Al posto della via Pascoli c’era un sentiero immerso in un boschetto di robinie in cui d’estate da ragazzi si costruivano le mitiche capanne, nella zona con ragazzi un po’ più grandi e con notevoli abilità manuali si costruivano capanne complesse e anche sopraelevate. Il nostro terrore era “Batiston” un burbero contadino, imponente come un armadio, cacciatore che girava spesso in bicicletta con il fucile in spalla e il cane al guinzaglio della bicicletta, abitava nella cascina bergamina e se ci scopriva a fare le capanne ci sgridava e minacciava, per cui quando si era nelle capanne era necessario un servizio di guardia che avvisasse “arriva Batiston via tutti”.
Non esisteva neanche la via Papa Giovanni, ma un sentiero che continuava nel boschetto di robinie, esisteva però la via Verdi che si concludeva con la casa del maestro Accordino, dove ora c’è l’autoscuola Dossena, penso che anche questa casa sia stata costruita in quegli anni, il sentiero poi piegava in quella che ora è la via Bellini e poi andava verso Camuzzago. Il maestro Accordino oltre che insegnante nella scuola elementare ha svolto per qualche anno il ruolo di direttore didattico.

martedì 27 agosto 2019

L’Amazzonia e il consumo di carne nel Rapporto Brandt


L’Amazzonia e il consumo di carne nel Rapporto Brandt


Sulla scia della questione degli incendi e deforestazione dell’Amazzonia sono andato a riprendere in mano il “Rapport Brandt”, pubblicato nel 1979 dieci anni prima della caduta del muro di Berlino. La Banca Mondiale cosciente che la questione politica mondiale si sarebbe spostata dallo scontro Est-Ovest a quella degli squilibri Nord-Sud, propose all’ex cancelliere tedesco e presidente dell’Internazionale Socialista Willi Brandt di coordinare una serie di studiosi provenienti da diverse parti del mondo uno lavoro sugli squilibri Nord-Sud e sulle prospettive future. Il rapporto è stato pubblicato in Italia da Mondadori nel 1980. Ne venni a conoscenza penso nello stesso anno in una tavola rotonda organizzata sul tema presso la Pro Civitate Christiana di Assisi in cui, tra l’atro, mi è talmente rimasta impressa una frase di Lidia Menapace che me la ricordo ancora: siccome il disequilibrio è talmente elevato che dovremmo prepararci ad un consistente ed inevitabile spostamento di massa dal Sud verso il Nord del mondo, possiamo affrontare questa situazione o in termini militari, preparandoci a difendere militarmente le nostre condizioni di vita oppure potremmo prepararci a questo nuovo mescolamento di popolazioni e culture preservando e valorizzando il meglio della nostra civiltà per passarlo alla nuova situazione. (Era il 1980!).
Riletto ora parecchie cose sono notevolmente cambiate, c’è stata la globalizzazione, alcuni paesi dell’estremo Est che erano compresi tra quelli del Sud del mondo hanno avuto una crescita economica molto consistente, alcune guerre che si sono fatte e si fanno, indirettamente ci permettono di continuare a mantenere il nostro livello di consumi, forse l’Africa continua a rimanere nella situazione di più forte squilibrio sociale, economico e culturale.
Comunque, sono andato a riprendermelo perché mi ricordavo che anche lì era già stato sollevato il problema della deforestazione per l’allevamento del bestiame. Dentro il rapporto, nel capitolo “fame e cibo”, a pg. 135 della pubblicazione in italiano si legge: “I ricchi del mondo potrebbero contribuire ad aumentare la disponibilità di generi alimentari […] consumando meno carne; infatti, produrre un’unità di proteine carnee comporta l’impiego di otto unità di proteine vegetali, che potrebbero invece venire direttamente consumate. Laddove gli animali che si nutrono di erba non richiedono cereali, il pollame e il bestiame nutriti a cereali ne consumano enormi quantitativi e precisamente da 3 a 9 chilogrammi per ogni chilogrammo di carne di pollo o di bovino edule, sufficienti a sopperire ai bisogni di una vasta percentuale delle popolazioni affamate del mondo mediante prodotti cerealicoli.” (Scritto nel 1979!)
La questione, come quella della emissione di CO2, rischia di assumere i toni di un neocolonialismo: per mantenere il nostro livello di benessere altre popolazioni devono vivere in condizioni di disagio per proteggere le risorse di tutti, perché la Terra è una.
Non si tratta probabilmente di diventare tutti vegetariani ma di stare più attenti, se ci è consentito veramente, alla provenienza dei cibi che compriamo cercando di non compromettere risorse di altre popolazioni. Bisogna inoltre che un riequilibrio delle risorse permetta a tutta la popolazione mondiale di vivere in buone condizioni economiche, sociali culturali e di opportunità senza compromettere le risorse delle future generazioni.

giovedì 15 agosto 2019

contrordine compagni! Sono finiti i popcorn


“Contrordine compagni! Sono finiti i popcorn”


Crisi di governo ferragostana del 2019, al limite della farsa come sono stati questi mesi di governo. Dopo aver approvato provvedimenti che da più parti dicono non essere sostenibili, non solo, promettendosene di farne altri altrettanti “a debito futuro” come si fanno quadrare i conti? Ci penseranno quelli che arrivano dopo. Salvini ha aperto una crisi politica con tempi non proprio comprensibili a questo riguardo, con lo spettro di un governo istituzionale che farà la legge di bilancio oltre che gestire le elezioni. Un Monti bis?
Cosa vuole Salvini sembra chiaro, capitalizzare l’ampio consenso popolare acquisito in questi mesi e riproporre un governo di centrodestra a guida leghista.
Cosa vogliano i Cinque Stelle sembra portare a casa una battaglia di bandiera: la riduzione del numero dei parlamentari, fatta, come il resto dell’azione politica del loro governo, all’insegna dell’improvvisazione. Una battaglia solo di bandiera non direttamente applicabile se si arrivasse a votare entro l’anno. Come si sistemano le cose? Ci penseranno quelli che vengono dopo.
Nella sinistra le cose, come sempre, sono “molto più complesse”.
La posizione più sorprendente è quella dei renziani che in meno di ventiquattro ore hanno deciso che il quadro politico era talmente cambiato da ribaltare anche la loro posizione politica. Dal minacciare la scissione se qualcuno nel PD avesse parlato anche solo di una consultazione coi Cinque Stelle a minacciare la scissione se non si fa un governo istituzione con i Cinque Stelle! Arrivando perfino ad affermare che la linea politica nel merito non l’avrebbe scelta la segreteria ma i gruppi parlamentari, così con un sol colpo si sfiduciava anche il segretario di partito.
C’era chi faceva presente già lo scorso anno che la situazione era pericolosa e i renziani hanno imposto la tattica del “popcorn” affermando che le istituzioni democratiche sono forti. Visto che lo sciagurato referendum renziano non era passato, le istituzioni democratiche sono ancora quelle. Certo la legge elettorale non è proprio il massimo, la Lega sembra avere un consenso altissimo, la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe bisogno di correttivi (ma per questo come già detto non c’è problema perché non entrerebbe in vigore con queste elezioni!). Gli avversari interni avanzano il sospetto, sembrerebbe fondato, che qualche mese di ritardo delle elezioni servirebbero a Renzi per preparare il suo nuovo partito, simboli e nome già pronti.
Un altro pezzo del PD vorrebbe invece un accordo di governo con i Cinque Stelle per finire la legislatura, si sistemano i conti, si rimette a posto il rapporto con l’Europa, si rabbercia il quadro istituzionale e poi si va al voto. E’ uno scenario che ho già visto diverse volte: i due governi Prodi e il governo Monti. Il centro sinistra che impone al paese scelte impopolari poi perde le elezioni e la destra sperpera in scelte populiste che piacciono tanto agli elettori. Si dice “senso dello Stato”, adesso addirittura bisogna “salvare l’Italia e gli italiani”. Ma gli italiani vogliono essere salvati?
In teoria nel PD dovrebbe essere rimasto anche un gruppo che vorrebbe comunque andare alle elezioni, mobilitare il paese su un programma politico (?) in grado di recuperare gli astensionisti, i delusi dei Cinque Stelle, i moderati (secondo qualcuno in realtà i moderati sono già il PD) e le “varie anime della sinistra”.
Penso però che la sintesi programmatica sia impossibile. Tutta la sinistra occidentale dopo l’abbandono della socialdemocrazia novecentesca, la scelta del mercato, il blerismo, il liberalismo democratico, in realtà non riesce a costruire un programma politico per gli elettori ormai populisti. Non dico una ricetta per governare la globalizzazione e la crisi ambientale ma anche solo:
  • Si promuove il lavoro o si difendono i lavoratori?
  • Il merito fa parte dei valori o è sempre e solo meritocrazia?
  • Occuparsi dei diseredati è una questione di diritti (e doveri) o, in nome della “percezione della sicurezza” è un’opera di carità da lasciare alla chiesa e al volontariato?
  • Il riformismo è un percorso da ricominciare o è meglio lasciare le cose come stanno garantendo i corporartivismi se no si perdono i voti?
  • La sussidiarietà verticale è un valore? Portare il livello delle decisioni più vicino possibile agli elettori oppure in questo modo “si rompe l’unità della Repubblica”? Ma ricordiamoci dell’art. 114 della Costituzione “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” Possiamo pensare di migliore l’efficienza dei servizi decentralizzando la gestione trasformando i servizi statali in “beni pubblici” con al centro gli utenti invece delle corporazioni?
  • L’eguaglianza, l’equità e l’inclusione non sono sinonimi, come si coniugano le libertà individuali e l’appartenenza sociale? Come garantire a tutti di poter realizzare il proprio progetto di vita senza esagerate sperequazioni economiche e sociali?
  • Se le differenze economiche e sociali si polarizzano eliminando il ceto medio, possiamo pensare di avere un problema di ridistribuzione del reddito? O pensiamo che anche questo possa essere risolto dal mercato?

Tutte questioni su cui non vedo concrete possibilità di trovare sintesi nel centro-sinistra e, andando oltre la pretesa della “vocazione maggioritaria”, anche nella sinistra e nella sinistra sinistra (lascerei fuori che si propone di abbattere il capitalismo per avanzare verso il “sol dell’avvenir”).
Se invece si pensa ad una alleanza d’emergenza tipo CNL questa ha bisogno di un suo momento catartico. Sarà duro, sarà doloroso, sarà drammatico ma (sarà il pessimismo dell’età che avanza) non vedo altro modo per invertire la narrazione populista maggioritaria nel paese.
Salvini dice di avere già pronta la finanziaria, bene, andiamo a far scoprire le carte, facciamogliela approvare, poi la cosa non regge nella vita reale del paese, tutti si assumano le loro responsabilità, anche gli elettori. Aumenta l’IVA, gli investitori stranieri scappano, aumenta la dislocazione produttiva, non ci sono più i soldi per pagare i dipendenti pubblici (anche il mio), c’è bisogno della “troica”, si deve tagliare drasticamente la spesa sociale e le pensioni. Gli elettori del tempo dei sociali hanno bisogno di toccare direttamente con mano, se no sarà come la volta scorsa quando eravamo più o meno nelle stesse condizioni e il governo Monti rimette la situazione in sicurezza e nell’elettorato populista social dipendente la colpa è stata di Monti e della Fornero e non di chi ha causato la situazione e ora si appresta di nuovo a governare.
Forse solo dopo un disastro di questo tipo si potrebbero ritrovare le condizioni per un nuovo CNL e le condizioni per ripensare nuove sintesi e nuove riforme.
E’ brutto lo so.

sabato 15 giugno 2019

Il rosario, la Madonna, la fede e la politica


Il rapporto tra fede cristiana e politica ha avuto una fase iniziale molto conflittuale: persecuzioni, martiri, catacombe, non tanto perché si pensava che i cristiani aspirassero ad un ruolo di potere, ma al contrario una religione salvifica e centrata sulla vita ultraterrena proponeva valori che mettevano in discussione quelli della civiltà romana.
Ancora alla seconda metà del II secolo nella “Lettera a Diogneto” si ripropone il ruolo del cristiano come colui che” è nel mondo ma non è del modo”, un rapporto conflittuale che ha ispirato in modo significativo una parte della nascente religione cristiana e soprattutto la corrente ascetica e mistica. Un testo che ha avuto una fortunata riscoperta anche durante il periodo post conciliare e della fine del collateralismo tra cattolici e la rappresentanza politica partitica della DC.
Si fa risalire invece all'Editto di Milano del 313 la nascita di un collateralismo tra religione e potere coincidente con la fine delle persecuzioni. Sarà infatti significativo il ruolo dei pontefici nel passaggio tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e la nuova società medioevale. Curiosamente sarà proprio un pontefice: Papa Gregorio Magno a supplire alla carenza della politica nella parte occidentale dell’impero ed affrontare la questione delle invasioni barbariche con una forte opera di inclusione.
Anche quando poi arriverà lo scisma orientale la questione più che disputa teologica e di ruoli religiosi, sarà prettamente questione di potere temporale. Ancora adesso la regione ortodossa è molto intrecciata alle questioni politiche delle nazioni in cui è prevalente, una religione fortemente integralista e nazionalista.
La vera spaccatura sul piano religioso ma anche politico e culturale è senz'altro quello della Riforma e della Controriforma.
La riforma prefigura un ruolo più attivo e consapevole dei cristiani, pienamente responsabili al di fuori della mediazione religiosa. I cristiani protestanti saranno molto più istruiti anche nella conoscenza dei testi sacri (a volte fuorviati da una interpretazione strettamente letterale di testi scritti in epoche molto diverse) Senza la mediazione dei Santi e neanche della Madonna, anche se Lutero è un importante autore di un commento al Magnificat. Da qui, sfruttando le novità tecnologiche del tempo, la diffusione della Bibbia a stampa per i cristiani più colti e facoltosi e il ruolo delle liturgie centrate sul canto dei salmi e sul sermone.
In contrapposizione la controriforma vedrà l’esaltazione delle figure dei santi e della Madonna tanto da realizzare una serie di “fortilizi culturali” dei santuari dedicati alla Madonna e alle sue apparizioni su una linea di frontiera tra Europa cattolica e quella protestante, sostenute da apparizioni ed eventi miracolosi (con qualche riedizione nel 1948 quando la frontiera in Europa diventa quella tra est ed ovest). Anche la pratica della recita del rosario, di origine domenicana, riprende vigore proprio in contrapposizione alla lettura diretta dei testi sacri. Diffusa come pratica soprattutto popolare come momento di ritrovo serale della famiglia patriarcale, compito della “mater familias” era quella di “iniziare il rosario”, ricordando ad ogni decina i vari misteri di meditazione. Il rosario infatti è una pratica mistica in cui la voce ripete in continuazione la stessa locuzione e la mente è libera di pensare e meditare sui misteri religiosi od altro. Una pratica che i mistici definiscono di “attenzione apparente”, e se non ci sono meditazioni da fare … ci si addormenta.
Il pericolo intravisto nel mondo cattolico della lettura diretta dei testi sacri si protrae fino al Concilio Vaticano II con l’introduzione della liturgia in italiano e con la pubblicazione del documento “Dei verbum” del 1965. Fino ad allora i cattolici che volevano leggere direttamente i testi sacri avrebbero dovuto chiedere una specifica dispensa al proprio parroco.
L’ambito cattolico è caratterizzato da una notevole ignoranza, a diversi livelli, della lettura, interpretazione e “discernimento” dei testi sacri. Da qui una religiosità popolare di tipo superficiale, identitaria e fortemente caratterizzata dalla pratica sacramentale. La messa in discussione di questa impalcatura anche se in modo non sempre lineare sta aprendo brecce consistenti nell’intero sistema.
Va letta anche in questa chiave la dichiarazione di impotenza delle dimissioni di Benedetto XVI, che viene da una formazione fortemente intellettuale e contigua al mondo protestante.
In questa breccia della chiesa cattolica, anche in difficoltà a dare nuovo senso alla religiosità popolare di basso livello culturale e religioso anche dei propri preti e catechisti, si inserisce la dimensione religiosa identitaria sfruttata dalla Lega di Salvini.
La strada forse è quella già indicata da un altro intellettuale e “pastore” che fu il cardinale Martini che promosse a livello delle singole parrocchie una catechesi basata sulla pratica monastica della “lectio divina”, ma ahimè mancano i quadri intermedi.