venerdì 2 dicembre 2016

2 dicembre 2016 antivigilia del voto referendario

2 dicembre 2016 antivigilia del voto referendario


Stamattina Radipopolare di Milano annunciava gli appuntamenti radiofonici importanti per la giornata di domenica 4 dicembre. Al mattino trasmissione sul voto in Austria col pericolo del ritorno neonazista, poi la diretta sui funerali di Fidel e infine la diretta sui risultati del referendum in Italia. Per lunedì consigliavano di prendere ferie.
Nella situazione italiana qualcuno va rilanciando la frase di Obama all’indomani dell’imprevisto risultato delle elezioni americane “domani il solo sorge ancora”.
Temo che lunedì 5 dicembre il fatto che sorga ancora il sole sia solo un fatto astronomico ma, perlomeno in Italia, sarà comunque un nuovo periodo. All’interno del PD sarà comunque tutto diverso da prima.
Non penso interessi a molti cosa succederà al PD dal 5 dicembre, ma per chi ha creduto e ha lavorato alla nascita di una formazione politica riformista e di centro sinistra in Italia sarà un altro calvario.
E’ da tempo che sto in questo partito più per sentimento che per convinzione, prima per pratiche troppo poco riformiste, poi per l’incapacità di provare nuove forme aggregative e organizzative per un partito di massa realmente partecipativo che fa i conti con il nuovo tipo di comunicazione ma presente sul territorio e infine per l’insofferenza verso questo nuovo “verbo” del renzismo che per dirla con Prodi  è di “chi ha voluto ignorare e perfino negare la storia dell’Ulivo, con una leadership esclusiva, solitaria ed escludente”.
L’aggravante è legata all’azione di governo che ha usato il riformismo prevalentemente come propaganda mistificando la realtà facendo un doppio danno, il primo perché le riforme fatte male non raggiungono lo scopo, il secondo perché alimentano un clima antiriformista dettato dalla percezione che le riforme e, soprattutto le semplificazioni, peggiorano la situazione. Al contrario ogni azione riformista ha bisogno di capire a fondo la realtà esistente, qualcuno ha parlato di una “azione di verità”, ma per paura della comunicazione propagandistica degli altri, si è rincorso lo stesso metodo rasentando il cialtronismo.
La stagione iniziata con la “rottamazione” ha aggravato in questa campagna referendaria la delegittimazione delle posizione politiche diverse dalle proprie, ma ancora peggio la mancanza di rispetto reciproco e l’insulto personale. Altre campagne referendarie sono state politicamente molto divisive nella società ma nessuna così negativa negli attacchi personali. Complice certamente la disponibilità e la diffusione di nuovi strumenti comunicativi di ambigua trasparenza.
Alcuni hanno già deciso di abbandonare l’attività (e anche il voto) nel PD, la maggior parte in silenzio senza suscitare allarmi neanche nella dirigenza. L’impressione è che la dirigenza ha consapevolmente deciso che per questa stagione politica lo strumento partito non serve, per cui non va ripensato ma tenuto “in naftalina” e trasformato di fatto in comitato elettorale. Il confronto interno in orizzontale e in verticale non serve più, annientato in un twitter. I tempi della comunicazione digitale di massa e pubblica non sono adatti al confronto.
Altri hanno abbandonato il PD più rumorosamente fondando nuovi movimenti politici, ma anche in questo caso non c’è stata ne analisi ne confronto serio ma solo la ridicolarizzazione delle persone . L’unica analisi è stata l’accusa di scissionismo assolvendo in pieno chi ha il ruolo e il compito di non essere divisivo e di garantire in modo costruttivo lo spazio del dibattito e del confronto.
In questa situazione da” mucchio di macerie” torno ha una citazione che mi piace molto dal finale del film “Italia-Germania 4 a 3” di Andrea Branzini del 1990 .
- Il messaggio è questo: E’ che noi , noi per vivere, abbiamo bisogno di un sistema di riferimento, di una costruzione, di una cattedrale. Solo che abbiamo solo macerie. E allora cosa dobbiamo fare? Come nel medioevo noi prendiamo un capitello, una colonna, i mattoni, il resto dei crolli, i lastricati romani e li mettiamo tutti insieme.
- E facciamo una bella schifezza peggio di prima.
- No! Facciamo il Romanico. Il Romanico! Come loro, lo stile. Loro hanno fatto il Romanico, noi facciamo …

C’è  oggi in Italia (ma forse nella cultura occidentale) lo spazio per una forza politica di sinistra, popolare, partecipativa e riformista? E servirebbe averla?

lunedì 10 ottobre 2016

UNA SETTIMANA AD ACCUMOLI VOLONTARIO DOPO IL TERREMOTO

UNA SETTIMANA AD ACCUMOLI VOLONTARIO DOPO IL TERREMOTO


L'esperienza  tragica di questo terremoto ci permettere di conoscere un altro volto dell’Italia, un territorio sconosciuto, paesaggi bellissimi ma perlopiù  disabitati per gran parte dell’anno. Esistono libri e film sulla provincia americana ma da noi mi sa che dopo il neorealismo ci sono rimasti, anche questi datati, solo i film di Celentano. Ma le province italiane sono diverse per paesaggio, per cultura e per storia. 
Se ogni terremoto è diverso, questo è quello delle frazioni delle seconde case. Anche nel terremoto dell’Umbria si era in presenza di piccoli centri sparsi e diffusi su un territorio montano, in più,  in questo caso, le frazioni sono diventate seconde case, e non già la classica seconda casa realizzata apposta per la villeggiatura,  qui siamo in presenza della casa di famiglia abbandonata come residenza principale perché  troppo isolata dai servizi dal benessere e dal progresso, per tornarci in vacanza a consolidare un tessuto di relazioni che rassicurano le proprie radici. Piccoli centri di case in pietra con la piazzetta e la chiesa da almeno un paio di secoli. Ora sono tutti chiusi, le strade interrotte da possibili frane, nessun abitante nelle frazioni, qualche roulotte appena fuori per chi ancora qui ha qualche attività  agricola.
Una situazione territoriale così pone problemi di gestione tecnica ma anche amministrativa dell’emergenza ancora una volta inediti. Problemi da capire e ancora una volta per imparare.
Una settimana ad Accumoli per fare le valutazioni di agibilità  post sisma e immergersi in nuovi paesaggi bellissimi e diversi. Li attraversa la Salaria ma poi verso l’interno si snodano per chilometri valli ormai disabitate. Un paese che negli anni ‘50 contava 3000 abitanti ed ora meno di 700 divisi in 17 frazioni, un territorio di quasi 80 km quadrati. Una macchina amministrativa che oggettivamente non può  essere all’altezza della situazione. Un uso del volontariato ancora una volta fantasioso, non può  essere un volontario il segretario comunale, il supporto tecnico agli uffici comunali non può  turnare ogni settimana, è l’apparato che deve garantire continuità amministrativa e gestionale per tutta l’emergenza,  si usi poi l’operatività  del volontariato che serve. Ancora una volta si evidenzia la fragilità  degli apparati amministrativi e gestionali dei livelli locali: i Centri Operativi Comunali.
In tutto questo emergono capacità relazionali fantastiche normalmente impensabili in una società  rancorosa come la nostra. Collaborazioni naturali serene e intense tra tecnici, vigili del fuoco, forze dell’ordine,  cittadini, volontari. Relazioni sostenute da un giusto grado di ironia e di autoironia che permette di andare oltre i problemi. 
“Architetto e cambi sta marcia! Che guidate tutti così al nord? E la lasci andare questa Lancia” 
“Sono un uomo di pianura non sono abituato a trovarmi dietro una curva una mucca che mi guarda di traverso e non si vuole spostare”.
“Guarda un po’ che roba! È tutto crollato. Almeno prima ce stava il paese gli amici e i parenti che vedevi d’estate,  il contadino che era rimasto che te vendeva la verdura la carne il pecorino, poi la festa della frazione e poi quelle delle altre frazioni c'è se passava l’estate.  Mo che c'è  rimasto? Solo l’aria bona”.
Ho visto geometri coordinare il lavoro di architetti, ingegneri e specialisti e nessuno ha avuto niente da ridire, tranne forse il prendersi in giro su chi aveva il giubbetto più “tecnico”. Persino i burberi super tecnici della Direzione Comando e Controllo della Protezione Civile sono diventati gentili quando ti controllano le schede che consegni.
E ci sono pure le bestie abbandonate. In una mattinata piovosa in una delle frazioni abbandonate, mentre tornavo alla macchia a prendere una cosa che avevo dimenticato, vedo venirmi incontro un cane, bagnato, infreddolito e malmesso, ho avuto paura, ma senza mostrarlo troppo mi sono affrettato a raggiungere il resto della squadra, ci raggiunge anche il cane che si mette a strusciare tra le nostre gambe, non aveva fame, cercava solo carezze.
È ormai certo che il volontariato fa bene a chi lo fa, ancora una volta dalle vittime arrivano lezioni etiche. Dobbiamo valutare l’agibilità della casa di una minuta signora di 85 anni, “in gamba” come si direbbe da noi. Le dico come a tutti:
” Prima facciamo entrare i vigili del fuoco, poi se ci danno il via entriamo noi.”
 “Perché se cade in testa un mattone a loro gli fa meno male?”
“No però  hanno una esperienza maggiore sui pericoli”
“Non è giusto, dovrei entrare prima io, la loro vita è più importante della mia”
Faccio fatica a trattenere l’emozione,  poi anche i VVF voglio fare una foto ricordo con la signora che acconsente ma: “tenetela per voi, non mettetela su quelle robe lì che girano”.
Hai capito la nonnina ne sa di più  dei nativi digitali.
Non è  la visione buonista  della situazione, ma certamente migliora l'opinione sui rapporti umani se non con le istituzioni.  Sarà la sindrome del volontario. 
Diverse cose sono iniziate storte, compreso il lavoro che stiamo facendo di rilevamento delle condizioni di danno e agibilità  degli edifici, e temo che sarà difficilissimo correggere il tiro anche se non si è ancora a metà del lavoro.
Purtroppo la fase più critica dell’emergenza è quella iniziale ed è anche quella più importante per ottenere poi risultati efficaci.
La settimana finisce, ci si lascia facendosi gli auguri.

venerdì 10 giugno 2016

Tecnici e tecnici laureati

Tecnici e tecnici laureati

Si legge oggi sul quotidiano Scuola 24 che il governo intende rafforzare il canale della formazione terziaria non accademica tramite gli ITS http://www.scuola24.ilsole24ore.com/?cmpid=nlqs  . Ma ancora una volta non si può che prendere atto di una mancanza di strategia generale coerente sul sistema scolastico da parte del governo e delle forze di maggioranza. E’ di pochi giorni fa la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della L. 89/2016 che converte in legge il DL 42/2016 “Disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca”. Il DL era composto da solo quattro articoli, ma al Senato sono diventati undici e questi poi definitivamente approvati dalla Camera, per cui anche la ricerca del testo non è molto agevole.
L’art. 1 septies della L. 89/2016 prevede che per accedere all’esame di stato per lo svolgimento della libera professione di “perito industriale” non sarà più indispensabile il titolo conseguito con lo specifico diploma della scuola secondaria e relativo praticantato, ma, salvo riconoscimenti temporali dei percorsi in atto, sarà indispensabile la laurea di primo livello.
Il tema è quello del riconoscimento della libera professione in Europa. Su questo la scelta del percorso accademico è già stata fatta negli scorsi anni. Si poteva accedere agli esami di stato per la libera professione di perito industriale, e si può continuare a farlo per la professione del geometra, obbligatoriamente con il possesso dello specifico titolo rilasciato dalla scuola secondaria e praticantato. A sua volta il tirocinio o praticantato può essere sostituito da un percorso IFTS di almeno quattro semestri o da percorsi ITS o da una laurea di primo livello. Ma non mi pare che questi percorsi abbiano avuto molto successo, per una ragione molto semplice, essendo in possesso di una laurea di primo livello in ingegneria non si capisce perché il tecnico debba iscriversi al Collegio dei Geometri o dei Periti Industriali invece che all’Ordine degli Ingegneri (B o junior), avendo frequentato un corso accademico non specifico.
Come si vede la legge non va nella direzione della valorizzazione degli ITS auspicato dal governo in quanto ai diplomati ITS non sarà consentito l’accesso alla libera professione.
Da qualche mese le facoltà di ingegneria italiane si stanno muovendo per riformulare la proposta formativa nel settore, prevedendo un percorso triennale più professionalizzante ed uno, separato, quinquennale più accademico, non più quindi il 3+2. Gli esempi stranieri di riferimento, citati anche dagli articoli di Scuola 24 sono le Fachhochschulen tedesche, che sono si incardinate sulle università ma con una forte autonomia didattica e gestionale; gli Institutes universitaires de Technologie (IUT) francesi, ma anche in questo caso bisogna ricordare che in Francia esiste parallelamente anche la Section de Technique Supérieure (STS) che invece sono collegate ai lyceés; e l’esperienza del SUP svizzere che invece sono totalmente autonome dal mondo accademico.
Visti i numeri esigui della formazione terziaria non accademica in Italia non so se il sistema è in grado di reggere due canali paralleli, quello dell’ITS e quello universitario. Se la scelta per quanto riguarda la libera professione propende per il canale universitario questo dovrà avere una impostazione didattica significativamente non accademica e professionalizzante.
La scelta ha una ricaduta significativa anche sugli ordinamenti dell’istruzione tecnica della scuola secondaria (che in questa fase non sembra avere voce in capitolo), viene meno la specificità del titolo di studio per poter accedere alla libera professione.
Se si prende ad esempio l’esperienza svizzera, il canale della formazione tecnica prevede un percorso secondario di quattro anni con una uscita che non permette la libera professione ed un proseguimento nella Scuola Universitaria Professionale per chi vuole accedere ad un livello superiore che permette la libera professione in ambito tecnico. Se uno studente svizzero dopo cinque anni di formazione liceale intende cambiare percorso e accedere alla SUP deve fare un anno di passaggio, soprattutto di stage, perché non avrebbe le competenze necessarie per affrontare una SUP.

Sempre da notizie di stampa dei mesi scorsi anche il Collegio dei Geometri ha attivato un tavolo di lavoro con il MIUR per ridefinire il percorso formativo, penso sarebbe utile che a questo tavolo si esprimesse anche la scuola secondaria.

domenica 5 giugno 2016

Organico scolastico 2016-17 ancora pasticci

Organico scolastico 2016-17 ancora pasticci

Con i neonati si fa spesso un gioco: con una mano gli si copre gli occhi dicendo “bauu” si fa scomparire o riapparire qualcosa, si toglie la mano esclamando “cetti!”.
Guardando le proposte di organico per il prossimo anno che stanno arrivando alle scuole mi sembra che si stia giocando a “bau cetti”, nessuna traccia dell’organico del potenziamento e uno pensa che sia ricondotto nell’“organico dell’autonomia”, o per lo meno così sembrava dalla lettura del comma 68 dell’art.1 della L. 107/2015. Ma non è così. Non sono proprio indicati. Si possono fare progetti di respiro triennale, ma anche solo per il prossimo anno senza avere la certezza di quante risorse umane sono disponibili? Quali caratteristiche hanno queste persone? Quando verranno assegnati alle scuole? Se non si riesce a progettare per tempo si rischia di avere di nuovo colleghi che stazionano in sala professori in attesa di una supplenza improvvisa.
Chi è entrato in ruolo quest’anno, compreso i colleghi per il potenziamento, concludono l’anno di straordinariato e dovranno scegliere la destinazione effettiva, ma se questi posti non compaiono abbinati a scuole specifiche, visti che i famosi ambiti non sono ancora stati strutturati, su che basi scelgono?
Nelle tabelle dell’organico per il prossimo anno non compaiono neanche le nuove classi di concorso che pure sono già legge. Le discipline sono indicate con le vecchie classi di concorso, con tanto di distribuzione oraria separata anche per le discipline che sono state invece fuse in nuove classi di concorso.
Visto che l’ottimismo se ne è già andato, veramente non si sa più dove trovare la forza di volontà per progettare attività didattiche.
Ci hanno detto che lo scorso anno sarebbe stato un anno di passaggio, continuando così non vorrei il prossimo fosse quello di trapasso.


Va be almeno mi sono sfogato.

sabato 26 marzo 2016

I nodi al pettine: l’alternanza scuola-lavoro

I nodi al pettine: l’alternanza scuola-lavoro

La “riforma Moratti” ha introdotto nel 2003 l’attività di alternanza scuola-lavoro per gli istituti scolastici di secondo grado, in teoria l’attività poteva essere svolta anche nei licei ma penso siano state veramente poche le esperienze in questo senso. Per gli istituti professionali l’alternanza ha assorbito un obbligo precedente già quantificato come monte ore aggiuntivo, mentre per gli istituti tecnici si è attuato in parte all’interno delle ore curricolari e in parte in orario aggiuntivo al termine delle lezioni.
Per diversi anni il coordinamento e la valutazione dei progetti delle singole scuole è stato svolto dagli uffici scolastici regionali che assegnavano anche le risorse economiche alle singole scuole. Il ministero ha svolto una funzione di monitoraggio sull’andamento delle esperienze. I progetti e i modelli di alternanza sono stati quindi diversi da regione a regione, in alcune regioni ad esempio è stato assegnato un contributo anche ai tutor aziendali. Il modello lombardo che conosco per avervi partecipato dal 2005 prevedeva una diversificazione di interventi a partire dal secondo anno in cui non si svolgevano stage ma azioni di sensibilizzazione sulla realtà lavorativa dei comparti affini agli indirizzi di studio e all’imprenditorialità in genere. Queste attività riguardavano soprattutto incontri a scuola e visite d’istruzione e non rientravano nelle spese coperte dal finanziamento ministeriale. Nel terzo e quarto anno invece la scuola e le aziende avrebbero dovuto elaborare un progetto didattico comune definendo le competenze che l’attività avrebbe dovuto far acquisire agli studenti, nonché le modalità di verifica e misurazione di queste competenze da parte sia del tutor aziendale che da parte del consiglio di classe. Il gruppo di progetto misto, scuola-azienda che ha elaborato il progetto avrebbe poi dovuto valutare il progetto stesso.
L’alternanza scuola- lavoro coinvolgeva all’interno di ogni istituto solo alcuni consigli di classe e in alcuni progetti solo alcuni studenti della classe che avrebbero poi condiviso il racconto dell’esperienza con gli altri compagni. Sono stati prodotti in quegli anni diversi strumenti e materiali, dalla bozza di convenzione ai modelli per i progetti didattici e per il “diario di bordo degli studenti” affinché gli stagisti potessero rendicontare il tipo e la qualità dell’esperienza.
Il materiale è disponibile nel sito: http://www.requs.it/default.asp?pagina=3821
Le obiezioni nei collegi dei docenti è sempre stata molto forte e, come adesso, andavano dall’accusa di “formare al precariato” allo “sfruttamento gratuito di forza lavoro”, la realtà era, ed è rimasta, quella che per il mondo produttivo l’alternanza è una complicazione in termini di risorse e tempo impiegato e anche, non da ultimo, in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro. Ci sono stati, è vero, episodi, arrivati anche alla cronaca, soprattutto nel settore turistico, di stage molto lunghi che si configuravano come sfruttamento gratuito di manodopera.
 Oltre alla difficoltà di coinvolgere pienamente tutto il consiglio di classe, anche da parte aziendale il coinvolgimento in fase progettuale è stato spesso difficile. Nelle esperienze che coinvolgevano obbligatoriamente tutta la classe è emerso a volte una difficile sensibilizzazione di tutti gli studenti, alcuni infatti nel periodo extrascolastico preferivano trovare un qualsiasi lavoretto in nero ma remunerato. Complessivamente si trattava di stage che arrivavano complessivamente nel biennio a 200 ore. Su questo punto i datori di lavoro segnalavano spesso la necessità di aumentare le ore di stage per arrivare a conseguire una competenza. Negli anni si è proceduto a ridimensionare l’estensione delle competenze inserite nei progetti.
L’alternanza raggiungeva una serie di obiettivi. Innanzitutto aveva una funzione orientativa ponendo lo studente nel contesto reale di lavoro attinente al proprio percorso scolastico, offriva inoltre l’opportunità di sperimentare direttamente un contesto relazionale lavorativo diverso da quello scolastico facendo presagire le competenze trasversali utili per inserirsi in un contesto lavorativo. Si aveva la possibilità di apprendere conoscenze e abilità professionali a volte in anticipo rispetto alla loro trattazione teorica a scuola. Questo ultimo punto mi è sempre stato utilissimo, in quanto insegnante di materie tecniche mi è capitato spesso che nello svolgimento teorico di un argomento si inserisse uno studente riportando l’esperienza diretta dello stage, comparando le proposte e riformulando quesiti.
Su questo tema la L.107/15 presenta alcune criticità. La prima è quella dell’obbligatorietà e della definizione del numero di ore minimo da dedicare. Un’altra volta si impongono percorsi didattici uguali per tutti e non invece come opportunità per personalizzare il proprio curricolo. L’estensione quantitativa dell’attività sta portando a soluzioni improprie come un notevole numero di ore dedicate a lezioni frontali che invece di essere tenuti dai docenti sono svolte da personale proveniente dal mondo del lavoro e non è detto che questi sappiano gestire meglio degli insegnanti le lezioni frontali, anzi! Ulteriore soluzioni che sta emergendo è l’attivazione dell’”impresa simulata” che altra cosa, estremamente impegnativa dal punto di vista organizzativo, più indirizzata verso l’imprenditorialità ma priva secondo me dell’esperienza fondamentale dello stage. Mi riferiva un dirigente che riportava di casi di altri colleghi che computerebbero all’interno delle 400 ore obbligatorie per i tecnici e i professionali le ore curricolari delle materie professionali!
La “buona scuola” ha enfatizzato eccessivamente l’esperienza dell’alternanza confondendola con la formazione duale che è tutt’altra cosa in termini di contenuti e di organizzazione, direttamente finalizzata all’inserimento al lavoro, esperienza utilissima ma che va impostata complessivamente come un vero e proprio canale formativo.
È chiaro che alla luce dei nuovi obblighi di legge vanno completamente rivisti i precedenti progetti di alternanza mantenendo gli obiettivi positivi dei vecchi progetti: valenza orientativa, confronto diretto col mondo del lavoro, valorizzazione delle competenze trasversali e acquisizione di conoscenze e abilità professionali anche invertendo il momento applicativo con quello teorico. In uno dei confronti che in questi anni la Rete dell’alternanza delle scuole della Lombardia ha organizzato anche con la SUPSI del Canton Ticino il suo direttore sintetizzava l’impostazione in uno slogan:” c’è chi impara con gli occhi e chi impara con le mani”.
Ulteriore elemento di novità sono le risorse assegnate alle scuole che sono effettivamente ingenti e vincolate all’alternanza (sempre in nome dell’autonomia) che se si manterranno negli anni futuri possono permettere coperture di costi prima impossibili come la progettazione, il tutoraggio scolastico, le spese di trasporto degli studenti, le spese delle uscite didattiche finalizzate, la dotazione dei Dispositivi di Protezione Individuali per gli studenti e altro, sperando che non siano sprechi.

Rimane il problema atavico della scuola superiore italiana, quello di coinvolgere tutto il consiglio di classe almeno in modo non oppositivo.

sabato 5 marzo 2016

Non basta sorvegliare gli studenti, d’ora in poi dovremo controllare anche l’autista

Non basta sorvegliare gli studenti, d’ora in poi dovremo controllare anche l’autista

Sta suscitando, giustamente, forti polemiche tra gli insegnanti la nota del MIUR n.674 del 03/02/2016 sui viaggi di istruzione e visite guidate.
La nota annuncia di aver concordato un protocollo con la Polizia Stradale per attuare una collaborazione con le scuole nelle attività di organizzazione delle uscite didattiche che prevedano l’utilizzo di un mezzo di trasporto, dell’accordo è stato prodotto un “Vademecum” allegato alla nota.  La parte di questo documento è quella che dice:
Nel corso del viaggio gli accompagnatori dovranno prestare attenzione al fatto che il conducente di un autobus non può assumere sostanze stupefacenti, psicotrope (psicofarmaci) né bevande alcoliche, neppure in modica quantità. Durante la guida egli non può far uso di apparecchi radiotelefonici o usare cuffie sonore, salvo apparecchi a viva voce o dotati di auricolare.”
Il pressappochismo giuridico del ministero parte dallo strumento: una nota, in base a quale riferimento giuridico principale se ne fa discendere un obbligo per un soggetto? Temo ancora l’art. 2048 del Codice Civile. Che tipo di obbligo è quello di “prestare attenzione”? Che tipo di responsabilità sono a carico dell’accompagnatore?
Perché nella nota si dice anche:
“Ogni qualvolta si ritenga opportuno, in particolare prima di intraprendere il viaggio e/o durante lo stesso se la condotta del conducente o l'idoneità del veicolo non dovessero rispondere ai requisiti riassunti nel Vademecum, dovrà essere richiesta la collaborazione e l'intervento degli Uffici della Polizia Stradale territorialmente competenti, già sensibilizzati a tal riguardo dalla propria Direzione centrale.”
Quel “dovrà essere richiesta” anche durante il viaggio, fa scattare il reato di ommessa denuncia nei confronti dell’accompagnatore? Se ad esempio durante un normale controllo di polizia dovesse riscontrare una irregolarità nel mezzo la cui verifica è al di fuori delle conoscenze dell’accompagnatore, cosa rischia per non aver sufficientemente “prestato attenzione”?
Il resto della nota fa riferimento al fatto che ci di deve servire di aziende che rispettano la legge e questo è giusto ma anche ovvio, fa parte di quel noto comportamento di perizia e diligenza del buon padre di famiglia.
Se si voleva elevare il livello di sicurezza dei mezzi utilizzati la strada più opportuna era quella di creare una agenzia di qualificazione dei mezzi di trasporto per le scuole, anche gestita dalle stesse aziende di trasporto, in grado di garantire standard di sicurezza più elevati rispetto alla normativa vigente e in grado di assumersi tutte le responsabilità del caso.
La nota riguarda solo l’uso di “mezzo di trasporto a noleggio con conducente” escluso il trasporto pubblico (anche se svolto da aziende private, spesso le stesse che fanno anche servizi privati) e il treno, chissà perché.
Comunque temo che la situazione potrà solo peggiorare e note di questo tipo emanate da una qualche direzione generale del ministero sono destinate ad aumentare dopo che sarà entrata in vigore la pessima riforma costituzionale approvata dal Parlamento dove il precedente punto n) dell’articolo 117 riservava allo Stato le sole “norme generali sull’istruzione” mentre nella formulazione che entrerà in vigore si parla di “disposizioni generali e comuni sull’istruzione”.
Aspettiamoci quindi sempre più circolari e note anche sugli aspetti più elementari della vita scolastica, ma forse al MIUR non hanno mai smesso di farlo. Ovviamente in nome dell’autonomia.

Non ci resta che sperare nel buon senso delle direzioni generali del ministero (tanto per chiudere con una battuta).

sabato 13 febbraio 2016

Del Cardinale Bagnasco e del voto segreto

Del Cardinale Bagnasco e del voto segreto

Che il Cardinale Bagnasco abbia esagerato è, fortunatamente, opinione di molti. La sua uscita è l’espressione di una larga parte della gerarchia cattolica che non hanno mai riconosciuto una autonomia di giudizio da parte dei fedeli. Secondo le gerarchie vaticane i cattolici non sono dotati di un proprio cervello, ma hanno un corpo che comincia dalla pancia in giù, è infatti su quella parte del corpo che la gerarchia si accanisce con proprie prese di posizione anche dettagliate. Il dissenso, l’obiezione di coscienza dei cattolici non sono ammessi, ma non sono mai neanche definitivi: esiste l’istituto della confessione, nel “segreto della confessione” tutto si perdona e quel che è stato è stato.
Per i parlamentari italiani invece la Costituzione all’art. 67 è chiaro “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ogni parlamentare ha piena responsabilità delle proprie scelte, ma come ci spiega anche Wikipedia “Questo articolo della Costituzione italiana fu scritto e concepito per garantire la libertà di espressione più assoluta ai membri del Parlamento italiano eletti alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. In altre parole, per garantire la democrazia i costituenti ritennero opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere (divieto di mandato imperativo). Il vincolo che lo lega agli elettori assume, invece, la natura di responsabilità politica.”
Oddio, qualche limite di mandato imperativo sul trasformismo forse varrebbe la pena di introdurlo nell’ordinamento italiano. Ma… la responsabilità politica si esercita nel segreto?
Io elettore non chiedo al parlamentare che ho votato di dimettersi se la pensa diversamente da me (mandato imperativo) ma di farmi sapere come vota sì. Si assuma le sue responsabilità, quando dovrò votare voglio esprimere anche un giudizio su come ha operato.

Citando uno dei testi che ho messo nel mio “araldo personale” in una pagina di questo blog: “L’obbedienza non è più una virtù”: “E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. […] Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri.” E qui si parlava di vera obiezione di coscienza, i parlamentari che votassero in modo difforme dalle indicazioni di partito cosa rischiano? Se ci fosse una legge elettorale che permettesse agli elettori maggiori possibilità di scelta forse la non rielezione, ma non è neanche così. Avranno modo da qui alle elezioni di farsi perdonare con una confessione più o meno segreta e il capo li rimetterà in lista, mica contano gli elettori.

mercoledì 3 febbraio 2016

Il cervello degli adolescenti

Una recensione

Frances E. Jensen con Amy Ellis Nutt “Il cervello degli adolescenti” Modadori, milano 2015, pp 328, € 22,00 (formato kindle € 10,99)


L’autrice è una neurologa americana con esperienza clinica e di ricercatrice, nonché madre single di due figli maschi adolescenti. Si è impegnata negli anni in una azione di divulgazione delle sue ricerche con conferenze per i genitori e nelle scuole, questo ha contribuito a rendere questo testo con un taglio divulgativo e veramente alla portata di tutti (inoltre il libro ha come coautrice una giornalista).
I risultati della ricerca sul cervello degli adolescenti porta l’autrice e altri ricercatori ad affermare che “Dal punto di vista fisiologico, il cervello dei ragazzi continua a essere forgiato dall’ambiente ben oltre i 25 anni.” (pg.11). Dopo aver illustrato la differenza tra il ruolo della corteccia cerebrale (la sostanza grigia) e la “sostanza bianca” che sta al disotto e che ha il ruolo di permettere le connessioni con le varie parti del cervello, lo studio, anche attraverso l’uso della risonanza magnetica (citata con l’acronimo MRI nel testo), ha dimostrato che:” il cervello di un adolescente è una sorta di paradosso. Poiché ha una sovrabbondanza di sostanza grigia (i neuroni che costituiscono i fondamentali mattoni del cervello) e un insufficiente rifornimento di sostanza bianca (l’insieme delle connessioni che consente agli imput di viaggiare in maniera efficiente da una parte all’altra del cervello), somiglia a una Ferrari nuova di zecca: ha tutti i meccanismi perfettamente funzionanti e al massimo della loro potenzialità, ma non è ancora stato rodato. In altre parole, su di giri, ma non sa bene dove andare.” (pg.30).
Altra condizione fisiologica che gli studi citati evidenziano è che negli adolescenti la parte del cervello costituito dai lobi frontali non sono ancora del tutto completi e non ben connessi con il resto. “I lobi frontali si trovano nella parte anteriore dei due emisferi e presiedono alla funzione esecutiva, al giudizio, all’intuizione e al controllo degli impulsi. Particolare importante, quando il cervello si sviluppa dalla parte posteriore a quella anteriore, negli anni dell’adolescenza, i lobi frontali appaiono i meno maturi e i meno interconnessi rispetto agli altri.” (pg 39). “Insomma, il cervello adolescente ha percorso solo l’80 per cento della strada verso la maturità.” (pg 41) Questa condizione sarebbe la causa principale dei comportamenti degli adolescenti che possono portare anche ad azioni pericolose per sé e per gli altri.
Lo studio ha anche permesso di inquadrare in una nuova prospettiva la funzione ormonale che fisiologicamente era ritenuta la causa principale dell’influenza sui comportamenti incostanti, irascibili e spavaldi degli adolescenti. Lo studio sugli ormoni sessuali nella ricerca del XX secolo in questo campo ha forse enfatizzato il ruolo di questa sostanza chimica nel cervello, facendo coincidere l’adolescenza con la pubertà, mentre secondo la Jensen i problemi legati allo sviluppo del cervello degli adolescenti va oltre il periodo della pubertà e si associa alle altre due cause evidenziate, lobi frontali incompleti e inefficienza della “sostanza bianca”.
“Gli ormoni sessuali sono particolarmente attivi nel sistema limbico, che è il centro emozionale del cervello. Questo spiega in parte perchè gli adolescenti siano non solo volubili sotto il profilo emozionale, ma anche inclini a cercare esperienze emotivamente cariche, come un libro che li fa piangere o un ottovolante che li fa urlare. La doppia batosta di un cervello a un tempo stressato e alla ricerca di stimoli, che non è ancora del tutto capace di prendere decisioni mature, colpisce gli adolescenti molto duramente e le conseguenze per le loro famiglie, sono a volte catastrofiche” (pg.25).
L’approccio al problema del comportamento degli adolescenti potrebbe sembrare a questo punto di tipo deterministico e giustificazionista ma l’autrice chiarisce un altro concetto importante: quello della “plasticità” del cervello umano.
“In pratica, il cervello umano si autocostruisce. Non solo risponde alle particolari esigenze e funzioni di un particolare individuo, ma è anche forgiato, in un certo senso modellato come un paesaggio, dalle specifiche esperienze dell’individuo. Nelle neuroscienze, definiamo “plasticità” la capacità straordinaria dell’encefalo umano di plasmarsi. Secondo la teoria della neuroplasticità, pensare, pianificare, imparare, agire sono tutte cose che influenzano la struttura fisica e l’organizzazione funzionale del cervello” (pg.71). Insomma la diatriba tra natura e cultura non si chiude a favore di una o dell’altra.
Il capitolo quinto è interamente dedicato all’apprendimento con la dimostrazione scientifica dell’affermazione che il cervello degli adolescenti è molto più attrezzato per l’apprendimento di altre fasi della vita, anche perché in questa fase il cervello compie una selezione e pulizia delle connessioni delle sinapsi rafforzando quelle più stimolate, una operazione che il testo definisce di “pruning”.  Tenendo conto del funzionamento complessivo del cervello in questa fase gli stimoli che sono in grado di attivare connessioni più significative sono quelle che agiscono sull’eccitazione, si aprirebbe qui una riflessione sulle metodologie didattiche: dalla quantità alla qualità.
La teoria della plasticità se si può trasferire dall’individuo alla società è l’elemento che a volte mi lascia un po’ perplesso sui capitoli successivi del libro che affrontano diverse tematiche specifiche: da quella del sonno, ai rischi, all’uso di sostanze al rapporto con il digitale e al rapporto con la legge. Affermare che gli adolescenti hanno bisogni fisiologici diversi mi pone il dubbio che questi bisogni siano il risultato di comportamenti sociali diversi, sono cioè il risultato e non la causa, dopo di che si può comunque prendere atto che questi cambiamenti sociali sono avvenuti e attrezzarsi meglio per relazionarsi con gli adolescenti.
Nella parte dei vari capitoli in cui l’autrice fornisce consigli ai genitori e adulti in genere su come rapportarsi agli adolescenti nelle varie situazioni emerge la dimensione di mamma, e di una mamma americana ritratta a volte in modo un po’ sarcastico dalla cultura “yiddish” alla Woody Allen , un po’ ossessiva e super controllore dei propri figli con la convinzione dell’efficacia delle prediche degli adulti.

Uno dei consigli che condivido in pieno, è quello di aiutare gli adolescenti ad auto organizzarsi il tempo. Da insegnante delle scuole superiori ho cercato anch’io di convincere i ragazzi in difficoltà a darsi una organizzazione oltre il tempo scuola. I ragazzi nel pomeriggio sono spesso soli e se non hanno una forte determinazione personale rischiano di disperdere il tempo extrascolastico, ho suggerito a volte di costruire anche un orario del pomeriggio, cercando di mettere dentro tutto, gli allenamenti, la serie televisiva, il giro con gli amici e anche lo studio, un orario settimanale del pomeriggio da appendere nella propria cameretta, anche a monito del mancato rispetto (da “rimorso di coscienza” di cultura cattolica). Non ho mai avuto ritorni significativi su questa mia proposta, forse un po’ troppo tayloristica o forse puzza troppo di scuola.

domenica 17 gennaio 2016

A futura memoria: le cose le abbiamo dette ma non ci hanno ascoltato

Roma, 9 Ottobre 2014 giornata d’ascolto del PD sul documento “la buona scuola”

Lo stato giuridico dei docenti, un’occasione da non perdere.

Francesco Stucchi

Referente area docente ADI

Tra le proposte che si avanzano nel documento “la buona scuola” l’ADI ritiene che la più interessante sia quella di arrivare a definire un nuovo Stato Giuridico degli Insegnanti per via legislativa.
L’ampiezza dei contenuti previsto per questo atto, elencati a pagina 50 del documento, permette anche di affrontare nel merito diverse delle questioni avanzate da altre parti che necessitano di chiarimenti e approfondimenti.
Innanzitutto il reclutamento.
 Sulle modalità di reclutamento si condivide la proposta di prevedere la formazione all’insegnamento all’interno del percorso universitario dei 3 + 2 con corsi specifici a numero chiuso e di abbandonare le soluzioni di formazione successiva alla laurea magistrale. Non si condivide invece la proposta dell’assunzione tramite concorso nazionale preferendo invece una soluzione che prevede concorsi indetti e gestiti da reti di scuole in base al fabbisogno effettivo
Discorso più complesso è invece la definizione della funzione docente.
E’ ormai condiviso da molti l’opinione che per un insegnamento efficace la buona conoscenza dei contenuti disciplinari è condizione necessaria ma non più sufficiente.
Dall’ultimo stato giuridico dei docenti definito per legge nel testo unico, la funzione docente si è molto trasformata, innanzitutto si sono diffuse anche in Italia metodologie didattiche che fanno riferimento a studi e pratiche sviluppate e studiate in altri contesti.
Lo spostamento nella didattica dalla centralità dell’insegnamento a quella sulla relazione insegnamento / apprendimento richiede attitudini e competenze nuove per i docenti. Per non parlare dell’informatizzazione che ha investito l’intera società e che si affaccia sulla scuola come nuova opportunità ma che richiede anch’essa nuove metodologie didattiche.
Uno degli elementi che emerge da questo variegato lavoro dal basso dei docenti è che le ricerche e le innovazioni non possono essere attivate dal singolo insegnante perché rischiano una bassa ricaduta sugli apprendimenti complessivi della classe e l’esaurirsi dell’esperienza col venir meno dell’entusiasmo dell’insegnante stesso se non dal suo trasferimento o il passaggio ad altri ruoli.
Non abbiamo più bisogno di singoli bravi insegnanti, abbiamo bisogno di bravi insegnanti che sappiano lavorare in gruppo per migliore gli apprendimenti dei propri di studenti ma, anche di più; preoccupati del miglioramento degli apprendimenti di tutti gli studenti del proprio istituto.
Prendendo in presto lo studio del sociologo americano Andy Hargreaves che abbiamo avuto ospite nel seminario del 2013, dobbiamo riuscire ad applicare al corpo docenti il concetto di capitale professionale definito come l’insieme del capitale umano di impronta individuale, del capitale sociale inteso come capacità di collaborare per il raggiungimento dei fini comuni, del capitale decisionale come la capacita del gruppo di prendere decisioni efficaci per il proseguimento del proprio lavoro.
Gli insegnanti come una equipe di professionisti
Questo dovrebbe essere l’orizzonte su cui definire nuovi standard che devono caratterizzare il lavoro del docente, standard che formano anche i parametri per la loro valutazione.
L’altro punto che vorrei affrontare è appunto quello sul trattamento economico e la progressione di carriera del personale docente.
Anche facendo riferimento a quanto detto finora è evidente che la posizione dell’ADI sulla proposta contenuta nel documento ci vede in netto dissenso.
Innanzitutto la proposta è molto individualista, ancora centrata sul singolo bravo docente, addirittura in competizione con i propri colleghi, che non stimola certo il lavoro collaborativo, la diffusione e il coinvolgimento alle buone pratiche, ma che, al contrario, mira a contrapporre i bravi insegnanti ai cattivi insegnanti. Una competizione ed una gara che si presenta alquanto truccata, senza riferimenti a parametri e standard assoluti ma solo e soltanto relativi al singolo istituto dove è già garantito che, almeno per un triennio il 66% sono i bravi e il 33% sono i cattivi, con tutte le disparità che questo potrà suscitare.
Nel documento si parla solo di progressione economica senza affrontare la questione della carriera e confondendo le due questioni.
Partendo dalla progressione economica la nostra proposta è quella di adeguarci al più presto a quelle realtà che stanno conseguendo anche i migliori risultati negli apprendimenti: una progressione di carriera che arrivi entro 10, massimo 15 anni al livello massimo di stipendio, garantito a tutti i docenti, da cui verrebbero esclusi, con una valutazione del merito, coloro che non raggiungono gli standard professionali di cui si è parlato prima. La valutazione dovrebbe essere svolta da un organismo esterno alla scuola con il coinvolgimento del Dirigente Scolastico, una soluzione già adottata per esempio per i dirigenti del pubblico impiego.
Per arrivare finalmente ad affrontare la questione della carriera degli insegnanti che deve far riferimento, appunto, alla dimensione del capitale professionale a cui si è accennato e che vede nel lavoro collegiale e nelle necessarie figure di coordinamento e indirizzo che questo tipo di lavoro comporta il suo fulcro principale. Figure che ricoprono ruoli non estemporanei od occasionali ma percorsi stabili a cui si accede per valutazione del merito, valutazione possibilmente sempre di tipo esterno.
Una carriera che potrebbe essere impostata su tre possibili percorsi, quello disciplinare, partendo da ruoli interni all’istituto nella direzione dei dipartimenti con una funzione di stimolo e verifica delle metodologie didattiche, di impostazione delle attività di aggiornamento, di validazione e pubblicizzazione dei lavori, attività quest’ultima sempre più necessaria con l’introduzione dell’informatizzazione della didattica e in generale nella diffusione delle metodologie di didattica attiva con gli studenti. Filone che poi evolve in un ruolo di rete e in quello del decentramento territoriale del Ministero
Un filone di tipo gestionale: sul coordinamento dell’offerta formativa, nel contatto col territorio e di facilitatore dell’attuazione dei progetti, che potrebbe evolvere nel collaboratore del DS e nel ruolo stesso del DS e poi in quello ispettivo.
Un filone della ricerca specialistica, in contatto con la ricerca pedagogica universitaria, e nello studio degli strumenti e degli esiti dei sistemi di valutazione nazionali e internazionali, con un ruolo interno all’istituto che evolve in quello di rete e in quello ispettivo.
Carriere accompagnate da un progressivo distacco dalle classi e da un riconoscimento economico che al livello di responsabile di rete è equiparabile a quello del DS.
Potrebbe sembrare che le pur ingenti risorse che il governo intende mettere a disposizione della scuola nei prossimi anni non riescano a coprire un progetto simile, certamente non basteranno se si mantiene la proposta di immettere in ruolo 150.000 precari contro un fabbisogno reale di 50 – 70.000 docenti che coprirebbero il fabbisogno e che è giusto e moralmente necessario assumere. Non è solo un problema economico ma questo provvedimento rischia di diventare anche un errore didattico se si persiste nel considerare la scuola come un ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale, inventandosi ampliamenti dell’offerta formativa obbligatoria per tutti gli studenti. Questo nel settore della secondaria si tramuta non solo in ore in più di scuola, ma anche in discipline in più, verifiche in più, valutazioni in più per tutti gli studenti in modo indifferenziato, vedasi l’esempio dell’aggiunta dell’ora di geografia nei tecnici.
L’ADI è pronta a collaborare al lavoro di elaborazione del nuovo stato giuridico de docenti, già da anni sta contribuendo alla riflessione e alla comparazione internazionale su questo tema. 

mercoledì 13 gennaio 2016

La questione della sorveglianza degli studenti

Tra gli aspetti della “buona scuola” che dovranno essere attuati, secondo me c’è un elemento che è stato sottovalutato nella discussione in corso: quello della vigilanza degli studenti.
E’ questo invece un elemento che condiziona fortemente tantissime ipotesi di innovazioni didattiche che, per questa ragione, partono male, tra l’altro è uno degli elementi che genera il fenomeno della “supplentite”, uno degli elementi ispiratori della L. 107/15.
Quando si vedono filmati di attività didattiche nel nord Europa in cui gli studenti si muovono liberamente nella struttura scolastica e svolgono attività in modo autonomo, senza essere sorvegliati, ci si chiede come fanno a gestire il problema del controllo e della sicurezza. Chi ha fatto esperienze di scambio all’estero ha potuto notare che fuori dall’Italia il problema non è vissuto in modo così ossessionante come da noi. Lasciare spazi di autonomia agli studenti modulati secondo l’età, favorirebbe anche una maggiore maturazione e assunzione di responsabilità da parte degli alunni.
In termini giuridici la questione ha le sue fonti negli articoli 2047 e 2048 del Codice Civile che fanno parte del titolo “dei fatti illeciti” e parlano del “danno cagionato dall’incapace” e della “responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte”. In particolare il secondo comma dell’articolo 2048 recita “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”. Negli anni la magistratura è intervenuta estendendo l’applicazione a tutte le attività scolastiche e anche ai fatti che creano un danno allo stesso alunno che lo commette e, inoltre, chiarendo che la responsabilità si evidenzia se l’istituzione scolastica e l’insegnante non dimostrino di aver provveduto in modo da evitare che il fatto potesse succedere. La legislazione ha in qualche modo attenuato la responsabilità dell’insegnante ponendo lo Stato come primo interlocutore processuale.
Una ricostruzione della vicenda, forse un po’ datata : http://www.edscuola.com/archivio/ped/vigilanza.html
Il comma citato nomina esplicitamente i precettori (categoria a cui sono assimilati gli insegnanti) come soggetti di questa responsabilità per cui non hanno efficacia, in questo ambito, le dichiarazione dei genitori che sollevano la scuola dalla responsabilità di sorveglianza; responsabilità che non deriva da un rapporto contrattuale tra genitori e istituzione scolastica, ma come obbligo di legge.
Mi avventuro allora ad avanzare una proposta di legge, molto semplice, in tre articoli, il primo di principio, il secondo articolo che regolamenta in modo nuovo la questione, riconducendola in qualche modo nell’ambito contrattuale tra genitori e istituzione scolastica, il terzo di disapplicazione delle norme precedenti.
Se qualche giurista più esperto vuole riformularla, apriamo una discussione.
PROPOSTA DI LEGGE SULLA SORVEGLIANZA DEGLI STUDENTI.
Art.1 Principi
Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado attuano la loro azione formativa e didattica garantendo la salute e il benessere di tutti i suoi componenti, il rispetto e l’integrità dei beni pubblici e personali.
L’azione didattica, tenendo conto dell’età degli studenti e delle diverse tipologie di attività, deve contemplare i principi di responsabilità individuale e di corresponsabilità dei fatti e delle azioni compiute da ogni componente dell’istituzione scolastica e l’acquisizione di un progressivo livello di autonomia operativa e di comportamento degli studenti.
Art.2 Organizzazione della sorveglianza degli studenti
Le istituzioni scolastiche nell’abito della propria autonomia didattica ed organizzativa attuano le modalità organizzative della sorveglianza degli studenti tenendo conto delle diverse attività e degli spazi in cui vengono organizzate le azioni didattiche.
Le modalità didattiche e organizzative di cui al comma precedente devono essere dichiarate nel Piano dell’Offerta Formativa, nella Carta dei Servizi e nel Patto di Corresponsabilità sottoscritto dai genitori.
Nel caso in cui l’istituzione scolastica organizzi o preveda l’attuazione di attività con modalità di sorveglianza degli studenti non esplicitate nei documenti citati nei commi precedenti dovrà essere sottoscritto tra l’istituzione scolastica e i genitori uno specifico patto di corresponsabilità.
Le trasgressioni delle disposizioni contenute nei commi precedenti devono essere regolamentate dal Regolamento di disciplina e dallo Statuto delle studentesse e degli studenti.
Art. 3 Disapplicazione

Gli articolo 2047 e 2048 del Codice Civile non si applicano alle istituzioni scolastiche nell’ambito degli spazi e delle attività di loro competenza, compreso i tirocini formativi e le attività di alternanza scuola – lavoro.

domenica 10 gennaio 2016

La scuola nella modifica del Titolo V della Costituzione

Il procedimento di modifica della Costituzione iniziato dal Governo Renzi oltre a modificare il ruolo e la composizione del Senato, modifica anche altri articoli tra cui il 117.
Questo articolo è già stato modificato dalla riforma Bassanini con l’intento di introdurre un organizzazione più federalista dello Stato, secondo un principio di affidare maggiore autonomia alle Regioni, in una ottica di sussidiarietà verticale che spostava più vicino ai cittadini gli ambiti delle decisioni politiche. L’articolo individuava infatti quali erano le materie che rimanevano di esclusiva competenza dello Stato, le materie definite di “legislazione concorrente” in cui la potestà legislativa era assegnata alle Regioni salvo la definizione dei principi generali che era compito della legislazione statale, mentre rimaneva di competenza legislativa regionale tutto quello che non era definito nei due commi precedenti.
La necessità di intervento sull'articolo 117 è stato motivato dal frequente conflitto di competenza che si è generato tra Stato e Regioni sulle materie di legislazione concorrente. In realtà c’è stata una mancanza di volontà politica da parte degli organi ministeriali ad applicare correttamente l’articolo, soprattutto nel non definire i principi generali di propria competenza, nel rallentare i lavori della “conferenza Stato Regioni” che avrebbe dovuto affrontare e risolvere sia i conflitti di competenza senza arrivare alla Corte Costituzionale, sia un lavoro di armonizzazione delle legislazioni regionali. La maggior parte delle Regioni non ha sostenuto con convinzione il nuovo ruolo assegnato dalla Costituzione, rifuggendo dalla responsabilità che comporta ogni autonomia
Per quanto riguarda la scuola era di competenza esclusiva dello stato la definizione delle “norme generali sull'istruzione”, mentre era oggetto di legislazione concorrente e quindi di competenza regionale nel rispetto delle norme generali dello Stato, “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”. L’esclusione dell’istruzione e della formazione professionale dalla legislazione concorrente era motivata dal fatto che questa rientrava nella legislazione esclusiva delle Regioni la cui potestà legislativa non ha bisogno di una norma generale dello Stato.
La modifica dell’art. 117 che è stata approvata nelle prime delle quattro approvazioni previste per una modifica costituzionale, ha un impronta neo-centralista, toglie poteri alle Regioni per conferirle allo Stato.
Diventano di competenza esclusiva dello Stato non più le “norme generali” ma le “disposizioni generali e comuni sull'istruzione; ordinamento scolastico”. Dalla norma alla disposizione c’è proprio un passaggio agli aspetti direttamente applicativi definiti centralmente, rafforzati dagli aggettivi: generali e comuni. Così il ministero dell’istruzione che non ha mai creduto nell'applicazione della modifica costituzionale precedente continuerà a emanare quantità sempre più consistenti di circolari ministeriali, circolari applicative e chiarimenti su ogni dettaglio della vita scolastica e il ministro di turno si compiacerà di assumere il ruolo del “preside d’Italia”.
Ci sono, ad esempio, insegnanti che obbiettano alla possibilità di usare diversi “device” elettronici per l’esistenza di una circolare ministeriale che vieta l’uso del cellulare in classe.
Sembrano lontani i tempi in cui approvando la legge sull'autonomia scolastica l’allora ministro L. Berlinguer affermava che tutto quello che non era vietato lo si sarebbe potuto fare.
In realtà il lavoro della commissione e del parlamento ha peggiorato il testo del governo che prevedeva il mantenimento della dizione “Norme generali sull'istruzione; ordinamento scolastico”. Chiarendo che le norme sull'ordinamento scolastico rientrano tra le competenze dello Stato.
L’attuale riforma elimina totalmente il comma sulla legislazione concorrente, proprio quando contemporaneamente si trasforma il Senato nel Senato delle Regioni. Lì si sarebbe potuto trovare un ambito istituzionale per la valutazione degli ipotetici conflitti tra Stato e Regioni e  si sarebbe potuto svolgere un ruolo di armonizzazione tra le normative regionali, come ad esempio la regolamentazione e il riconoscimento dei titoli della formazione professionale.
Il quarto comma diventa: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di […];.salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di istruzione e formazione professionale, di promozione del diritto allo studio, anche universitario;” Il riferimento all'autonomia scolastica rischia di diventare del tutto pleonastico visto che lo stato si è tenuto il diritto di dettare disposizioni generali e comuni e giuridicamente la norma costituzionale prevale su quella ordinaria.
La competenza legislativa rimane sull'istruzione e la formazione professionale e sui “servizi scolatici” e qui bisognerà di nuovo capire cosa si intende per servizi scolastici, si potrebbe andare da una visione ampia per cui la scuola in sé è un servizio pubblico, ad una più ristretta in cui la legislazione regionale è competente solo per gli aspetti accessori come il calendario scolastico, magari l’edilizia scolastica delle scuole di secondo grado visto che non ci saranno più le province, ma addio ad ogni ipotesi di decentramento della gestione effettiva della scuola, compreso il personale.
L’operazione neo-centralista riguarda anche altri settori come gli enti locali, il turismo, la cultura, la protezione civile, per la scuola c’è il rischio che finisca una stagione che non è mai cominciata.

La procedura prevede altri  passaggi alle camere come si potrebbe contribuire a far cambiare idea al Parlamento, almeno per togliere armi all'apparato ministeriale?

sabato 9 gennaio 2016

perché no

Ho titubato a lungo, perchè temo di non avere molte cose interessanti da raccontare, poi mi sono deciso: lo faccio anch'io un blog, magari non saranno tante le cose interessanti ma ogni tanto qualcuna si. Poi potrebbe funzionarmi un po' come archivio delle cose scritte qua e la, magari le ritrovo meglio se le metto in un blog.