Roma, 9 Ottobre 2014 giornata d’ascolto del PD sul documento
“la buona scuola”
Lo stato giuridico dei docenti, un’occasione da non perdere.
Francesco Stucchi
Referente area docente ADI
Tra le proposte che si avanzano nel documento “la buona
scuola” l’ADI ritiene che la più interessante sia quella di arrivare a definire
un nuovo Stato Giuridico degli Insegnanti per via legislativa.
L’ampiezza dei contenuti previsto per questo atto, elencati
a pagina 50 del documento, permette anche di affrontare nel merito diverse
delle questioni avanzate da altre parti che necessitano di chiarimenti e
approfondimenti.
Innanzitutto il
reclutamento.
Sulle modalità di
reclutamento si condivide la proposta di prevedere la formazione
all’insegnamento all’interno del percorso universitario dei 3 + 2 con corsi
specifici a numero chiuso e di abbandonare le soluzioni di formazione
successiva alla laurea magistrale. Non si condivide invece la proposta
dell’assunzione tramite concorso nazionale preferendo invece una soluzione che
prevede concorsi indetti e gestiti da reti di scuole in base al fabbisogno
effettivo
Discorso più
complesso è invece la definizione della funzione docente.
E’ ormai condiviso da molti l’opinione che per un
insegnamento efficace la buona conoscenza dei contenuti disciplinari è
condizione necessaria ma non più sufficiente.
Dall’ultimo stato giuridico dei docenti definito per legge
nel testo unico, la funzione docente si è molto trasformata, innanzitutto si
sono diffuse anche in Italia metodologie didattiche che fanno riferimento a studi
e pratiche sviluppate e studiate in altri contesti.
Lo spostamento nella didattica dalla centralità
dell’insegnamento a quella sulla relazione insegnamento / apprendimento richiede
attitudini e competenze nuove per i docenti. Per non parlare
dell’informatizzazione che ha investito l’intera società e che si affaccia
sulla scuola come nuova opportunità ma che richiede anch’essa nuove metodologie
didattiche.
Uno degli elementi che emerge da questo variegato lavoro dal
basso dei docenti è che le ricerche e le innovazioni non possono essere
attivate dal singolo insegnante perché rischiano una bassa ricaduta sugli
apprendimenti complessivi della classe e l’esaurirsi dell’esperienza col venir
meno dell’entusiasmo dell’insegnante stesso se non dal suo trasferimento o il
passaggio ad altri ruoli.
Non abbiamo più bisogno di singoli bravi insegnanti, abbiamo
bisogno di bravi insegnanti che sappiano lavorare in gruppo per migliore gli
apprendimenti dei propri di studenti ma, anche di più; preoccupati del
miglioramento degli apprendimenti di tutti gli studenti del proprio istituto.
Prendendo in presto lo studio del sociologo americano Andy
Hargreaves che abbiamo avuto ospite nel seminario del 2013, dobbiamo riuscire
ad applicare al corpo docenti il concetto di capitale professionale definito
come l’insieme del capitale umano di impronta individuale, del capitale sociale
inteso come capacità di collaborare per il raggiungimento dei fini comuni, del
capitale decisionale come la capacita del gruppo di prendere decisioni efficaci
per il proseguimento del proprio lavoro.
Gli insegnanti come una equipe di professionisti
Questo dovrebbe essere l’orizzonte su cui definire nuovi
standard che devono caratterizzare il lavoro del docente, standard che formano
anche i parametri per la loro valutazione.
L’altro punto che vorrei affrontare è appunto quello sul
trattamento economico e la progressione di carriera del personale docente.
Anche facendo riferimento a quanto detto finora è evidente
che la posizione dell’ADI sulla proposta contenuta nel documento ci vede in
netto dissenso.
Innanzitutto la proposta è molto individualista, ancora
centrata sul singolo bravo docente, addirittura in competizione con i propri
colleghi, che non stimola certo il lavoro collaborativo, la diffusione e il
coinvolgimento alle buone pratiche, ma che, al contrario, mira a contrapporre i
bravi insegnanti ai cattivi insegnanti. Una competizione ed una gara che si
presenta alquanto truccata, senza riferimenti a parametri e standard assoluti
ma solo e soltanto relativi al singolo istituto dove è già garantito che,
almeno per un triennio il 66% sono i bravi e il 33% sono i cattivi, con tutte
le disparità che questo potrà suscitare.
Nel documento si parla solo di progressione economica senza
affrontare la questione della carriera e confondendo le due questioni.
Partendo dalla progressione economica la nostra proposta è
quella di adeguarci al più presto a quelle realtà che stanno conseguendo anche
i migliori risultati negli apprendimenti: una progressione di carriera che
arrivi entro 10, massimo 15 anni al livello massimo di stipendio, garantito a
tutti i docenti, da cui verrebbero esclusi, con una valutazione del merito,
coloro che non raggiungono gli standard professionali di cui si è parlato
prima. La valutazione dovrebbe essere svolta da un organismo esterno alla
scuola con il coinvolgimento del Dirigente Scolastico, una soluzione già
adottata per esempio per i dirigenti del pubblico impiego.
Per arrivare finalmente ad affrontare la questione della
carriera degli insegnanti che deve far riferimento, appunto, alla dimensione
del capitale professionale a cui si è accennato e che vede nel lavoro
collegiale e nelle necessarie figure di coordinamento e indirizzo che questo
tipo di lavoro comporta il suo fulcro principale. Figure che ricoprono ruoli
non estemporanei od occasionali ma percorsi stabili a cui si accede per
valutazione del merito, valutazione possibilmente sempre di tipo esterno.
Una carriera che potrebbe essere impostata su tre possibili
percorsi, quello disciplinare, partendo da ruoli interni all’istituto nella
direzione dei dipartimenti con una funzione di stimolo e verifica delle
metodologie didattiche, di impostazione delle attività di aggiornamento, di validazione
e pubblicizzazione dei lavori, attività quest’ultima sempre più necessaria con
l’introduzione dell’informatizzazione della didattica e in generale nella
diffusione delle metodologie di didattica attiva con gli studenti. Filone che
poi evolve in un ruolo di rete e in quello del decentramento territoriale del
Ministero
Un filone di tipo gestionale: sul coordinamento dell’offerta
formativa, nel contatto col territorio e di facilitatore dell’attuazione dei
progetti, che potrebbe evolvere nel collaboratore del DS e nel ruolo stesso del
DS e poi in quello ispettivo.
Un filone della ricerca specialistica, in contatto con la
ricerca pedagogica universitaria, e nello studio degli strumenti e degli esiti
dei sistemi di valutazione nazionali e internazionali, con un ruolo interno
all’istituto che evolve in quello di rete e in quello ispettivo.
Carriere accompagnate da un progressivo distacco dalle
classi e da un riconoscimento economico che al livello di responsabile di rete
è equiparabile a quello del DS.
Potrebbe sembrare che le pur ingenti risorse che il governo
intende mettere a disposizione della scuola nei prossimi anni non riescano a
coprire un progetto simile, certamente non basteranno se si mantiene la
proposta di immettere in ruolo 150.000 precari contro un fabbisogno reale di 50
– 70.000 docenti che coprirebbero il fabbisogno e che è giusto e moralmente
necessario assumere. Non è solo un problema economico ma questo provvedimento
rischia di diventare anche un errore didattico se si persiste nel considerare
la scuola come un ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale,
inventandosi ampliamenti dell’offerta formativa obbligatoria per tutti gli
studenti. Questo nel settore della secondaria si tramuta non solo in ore in più
di scuola, ma anche in discipline in più, verifiche in più, valutazioni in più
per tutti gli studenti in modo indifferenziato, vedasi l’esempio dell’aggiunta
dell’ora di geografia nei tecnici.
L’ADI è pronta a collaborare al lavoro di elaborazione
del nuovo stato giuridico de docenti, già da anni sta contribuendo alla
riflessione e alla comparazione internazionale su questo tema.
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