domenica 17 gennaio 2016

A futura memoria: le cose le abbiamo dette ma non ci hanno ascoltato

Roma, 9 Ottobre 2014 giornata d’ascolto del PD sul documento “la buona scuola”

Lo stato giuridico dei docenti, un’occasione da non perdere.

Francesco Stucchi

Referente area docente ADI

Tra le proposte che si avanzano nel documento “la buona scuola” l’ADI ritiene che la più interessante sia quella di arrivare a definire un nuovo Stato Giuridico degli Insegnanti per via legislativa.
L’ampiezza dei contenuti previsto per questo atto, elencati a pagina 50 del documento, permette anche di affrontare nel merito diverse delle questioni avanzate da altre parti che necessitano di chiarimenti e approfondimenti.
Innanzitutto il reclutamento.
 Sulle modalità di reclutamento si condivide la proposta di prevedere la formazione all’insegnamento all’interno del percorso universitario dei 3 + 2 con corsi specifici a numero chiuso e di abbandonare le soluzioni di formazione successiva alla laurea magistrale. Non si condivide invece la proposta dell’assunzione tramite concorso nazionale preferendo invece una soluzione che prevede concorsi indetti e gestiti da reti di scuole in base al fabbisogno effettivo
Discorso più complesso è invece la definizione della funzione docente.
E’ ormai condiviso da molti l’opinione che per un insegnamento efficace la buona conoscenza dei contenuti disciplinari è condizione necessaria ma non più sufficiente.
Dall’ultimo stato giuridico dei docenti definito per legge nel testo unico, la funzione docente si è molto trasformata, innanzitutto si sono diffuse anche in Italia metodologie didattiche che fanno riferimento a studi e pratiche sviluppate e studiate in altri contesti.
Lo spostamento nella didattica dalla centralità dell’insegnamento a quella sulla relazione insegnamento / apprendimento richiede attitudini e competenze nuove per i docenti. Per non parlare dell’informatizzazione che ha investito l’intera società e che si affaccia sulla scuola come nuova opportunità ma che richiede anch’essa nuove metodologie didattiche.
Uno degli elementi che emerge da questo variegato lavoro dal basso dei docenti è che le ricerche e le innovazioni non possono essere attivate dal singolo insegnante perché rischiano una bassa ricaduta sugli apprendimenti complessivi della classe e l’esaurirsi dell’esperienza col venir meno dell’entusiasmo dell’insegnante stesso se non dal suo trasferimento o il passaggio ad altri ruoli.
Non abbiamo più bisogno di singoli bravi insegnanti, abbiamo bisogno di bravi insegnanti che sappiano lavorare in gruppo per migliore gli apprendimenti dei propri di studenti ma, anche di più; preoccupati del miglioramento degli apprendimenti di tutti gli studenti del proprio istituto.
Prendendo in presto lo studio del sociologo americano Andy Hargreaves che abbiamo avuto ospite nel seminario del 2013, dobbiamo riuscire ad applicare al corpo docenti il concetto di capitale professionale definito come l’insieme del capitale umano di impronta individuale, del capitale sociale inteso come capacità di collaborare per il raggiungimento dei fini comuni, del capitale decisionale come la capacita del gruppo di prendere decisioni efficaci per il proseguimento del proprio lavoro.
Gli insegnanti come una equipe di professionisti
Questo dovrebbe essere l’orizzonte su cui definire nuovi standard che devono caratterizzare il lavoro del docente, standard che formano anche i parametri per la loro valutazione.
L’altro punto che vorrei affrontare è appunto quello sul trattamento economico e la progressione di carriera del personale docente.
Anche facendo riferimento a quanto detto finora è evidente che la posizione dell’ADI sulla proposta contenuta nel documento ci vede in netto dissenso.
Innanzitutto la proposta è molto individualista, ancora centrata sul singolo bravo docente, addirittura in competizione con i propri colleghi, che non stimola certo il lavoro collaborativo, la diffusione e il coinvolgimento alle buone pratiche, ma che, al contrario, mira a contrapporre i bravi insegnanti ai cattivi insegnanti. Una competizione ed una gara che si presenta alquanto truccata, senza riferimenti a parametri e standard assoluti ma solo e soltanto relativi al singolo istituto dove è già garantito che, almeno per un triennio il 66% sono i bravi e il 33% sono i cattivi, con tutte le disparità che questo potrà suscitare.
Nel documento si parla solo di progressione economica senza affrontare la questione della carriera e confondendo le due questioni.
Partendo dalla progressione economica la nostra proposta è quella di adeguarci al più presto a quelle realtà che stanno conseguendo anche i migliori risultati negli apprendimenti: una progressione di carriera che arrivi entro 10, massimo 15 anni al livello massimo di stipendio, garantito a tutti i docenti, da cui verrebbero esclusi, con una valutazione del merito, coloro che non raggiungono gli standard professionali di cui si è parlato prima. La valutazione dovrebbe essere svolta da un organismo esterno alla scuola con il coinvolgimento del Dirigente Scolastico, una soluzione già adottata per esempio per i dirigenti del pubblico impiego.
Per arrivare finalmente ad affrontare la questione della carriera degli insegnanti che deve far riferimento, appunto, alla dimensione del capitale professionale a cui si è accennato e che vede nel lavoro collegiale e nelle necessarie figure di coordinamento e indirizzo che questo tipo di lavoro comporta il suo fulcro principale. Figure che ricoprono ruoli non estemporanei od occasionali ma percorsi stabili a cui si accede per valutazione del merito, valutazione possibilmente sempre di tipo esterno.
Una carriera che potrebbe essere impostata su tre possibili percorsi, quello disciplinare, partendo da ruoli interni all’istituto nella direzione dei dipartimenti con una funzione di stimolo e verifica delle metodologie didattiche, di impostazione delle attività di aggiornamento, di validazione e pubblicizzazione dei lavori, attività quest’ultima sempre più necessaria con l’introduzione dell’informatizzazione della didattica e in generale nella diffusione delle metodologie di didattica attiva con gli studenti. Filone che poi evolve in un ruolo di rete e in quello del decentramento territoriale del Ministero
Un filone di tipo gestionale: sul coordinamento dell’offerta formativa, nel contatto col territorio e di facilitatore dell’attuazione dei progetti, che potrebbe evolvere nel collaboratore del DS e nel ruolo stesso del DS e poi in quello ispettivo.
Un filone della ricerca specialistica, in contatto con la ricerca pedagogica universitaria, e nello studio degli strumenti e degli esiti dei sistemi di valutazione nazionali e internazionali, con un ruolo interno all’istituto che evolve in quello di rete e in quello ispettivo.
Carriere accompagnate da un progressivo distacco dalle classi e da un riconoscimento economico che al livello di responsabile di rete è equiparabile a quello del DS.
Potrebbe sembrare che le pur ingenti risorse che il governo intende mettere a disposizione della scuola nei prossimi anni non riescano a coprire un progetto simile, certamente non basteranno se si mantiene la proposta di immettere in ruolo 150.000 precari contro un fabbisogno reale di 50 – 70.000 docenti che coprirebbero il fabbisogno e che è giusto e moralmente necessario assumere. Non è solo un problema economico ma questo provvedimento rischia di diventare anche un errore didattico se si persiste nel considerare la scuola come un ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale, inventandosi ampliamenti dell’offerta formativa obbligatoria per tutti gli studenti. Questo nel settore della secondaria si tramuta non solo in ore in più di scuola, ma anche in discipline in più, verifiche in più, valutazioni in più per tutti gli studenti in modo indifferenziato, vedasi l’esempio dell’aggiunta dell’ora di geografia nei tecnici.
L’ADI è pronta a collaborare al lavoro di elaborazione del nuovo stato giuridico de docenti, già da anni sta contribuendo alla riflessione e alla comparazione internazionale su questo tema. 

mercoledì 13 gennaio 2016

La questione della sorveglianza degli studenti

Tra gli aspetti della “buona scuola” che dovranno essere attuati, secondo me c’è un elemento che è stato sottovalutato nella discussione in corso: quello della vigilanza degli studenti.
E’ questo invece un elemento che condiziona fortemente tantissime ipotesi di innovazioni didattiche che, per questa ragione, partono male, tra l’altro è uno degli elementi che genera il fenomeno della “supplentite”, uno degli elementi ispiratori della L. 107/15.
Quando si vedono filmati di attività didattiche nel nord Europa in cui gli studenti si muovono liberamente nella struttura scolastica e svolgono attività in modo autonomo, senza essere sorvegliati, ci si chiede come fanno a gestire il problema del controllo e della sicurezza. Chi ha fatto esperienze di scambio all’estero ha potuto notare che fuori dall’Italia il problema non è vissuto in modo così ossessionante come da noi. Lasciare spazi di autonomia agli studenti modulati secondo l’età, favorirebbe anche una maggiore maturazione e assunzione di responsabilità da parte degli alunni.
In termini giuridici la questione ha le sue fonti negli articoli 2047 e 2048 del Codice Civile che fanno parte del titolo “dei fatti illeciti” e parlano del “danno cagionato dall’incapace” e della “responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte”. In particolare il secondo comma dell’articolo 2048 recita “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”. Negli anni la magistratura è intervenuta estendendo l’applicazione a tutte le attività scolastiche e anche ai fatti che creano un danno allo stesso alunno che lo commette e, inoltre, chiarendo che la responsabilità si evidenzia se l’istituzione scolastica e l’insegnante non dimostrino di aver provveduto in modo da evitare che il fatto potesse succedere. La legislazione ha in qualche modo attenuato la responsabilità dell’insegnante ponendo lo Stato come primo interlocutore processuale.
Una ricostruzione della vicenda, forse un po’ datata : http://www.edscuola.com/archivio/ped/vigilanza.html
Il comma citato nomina esplicitamente i precettori (categoria a cui sono assimilati gli insegnanti) come soggetti di questa responsabilità per cui non hanno efficacia, in questo ambito, le dichiarazione dei genitori che sollevano la scuola dalla responsabilità di sorveglianza; responsabilità che non deriva da un rapporto contrattuale tra genitori e istituzione scolastica, ma come obbligo di legge.
Mi avventuro allora ad avanzare una proposta di legge, molto semplice, in tre articoli, il primo di principio, il secondo articolo che regolamenta in modo nuovo la questione, riconducendola in qualche modo nell’ambito contrattuale tra genitori e istituzione scolastica, il terzo di disapplicazione delle norme precedenti.
Se qualche giurista più esperto vuole riformularla, apriamo una discussione.
PROPOSTA DI LEGGE SULLA SORVEGLIANZA DEGLI STUDENTI.
Art.1 Principi
Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado attuano la loro azione formativa e didattica garantendo la salute e il benessere di tutti i suoi componenti, il rispetto e l’integrità dei beni pubblici e personali.
L’azione didattica, tenendo conto dell’età degli studenti e delle diverse tipologie di attività, deve contemplare i principi di responsabilità individuale e di corresponsabilità dei fatti e delle azioni compiute da ogni componente dell’istituzione scolastica e l’acquisizione di un progressivo livello di autonomia operativa e di comportamento degli studenti.
Art.2 Organizzazione della sorveglianza degli studenti
Le istituzioni scolastiche nell’abito della propria autonomia didattica ed organizzativa attuano le modalità organizzative della sorveglianza degli studenti tenendo conto delle diverse attività e degli spazi in cui vengono organizzate le azioni didattiche.
Le modalità didattiche e organizzative di cui al comma precedente devono essere dichiarate nel Piano dell’Offerta Formativa, nella Carta dei Servizi e nel Patto di Corresponsabilità sottoscritto dai genitori.
Nel caso in cui l’istituzione scolastica organizzi o preveda l’attuazione di attività con modalità di sorveglianza degli studenti non esplicitate nei documenti citati nei commi precedenti dovrà essere sottoscritto tra l’istituzione scolastica e i genitori uno specifico patto di corresponsabilità.
Le trasgressioni delle disposizioni contenute nei commi precedenti devono essere regolamentate dal Regolamento di disciplina e dallo Statuto delle studentesse e degli studenti.
Art. 3 Disapplicazione

Gli articolo 2047 e 2048 del Codice Civile non si applicano alle istituzioni scolastiche nell’ambito degli spazi e delle attività di loro competenza, compreso i tirocini formativi e le attività di alternanza scuola – lavoro.

domenica 10 gennaio 2016

La scuola nella modifica del Titolo V della Costituzione

Il procedimento di modifica della Costituzione iniziato dal Governo Renzi oltre a modificare il ruolo e la composizione del Senato, modifica anche altri articoli tra cui il 117.
Questo articolo è già stato modificato dalla riforma Bassanini con l’intento di introdurre un organizzazione più federalista dello Stato, secondo un principio di affidare maggiore autonomia alle Regioni, in una ottica di sussidiarietà verticale che spostava più vicino ai cittadini gli ambiti delle decisioni politiche. L’articolo individuava infatti quali erano le materie che rimanevano di esclusiva competenza dello Stato, le materie definite di “legislazione concorrente” in cui la potestà legislativa era assegnata alle Regioni salvo la definizione dei principi generali che era compito della legislazione statale, mentre rimaneva di competenza legislativa regionale tutto quello che non era definito nei due commi precedenti.
La necessità di intervento sull'articolo 117 è stato motivato dal frequente conflitto di competenza che si è generato tra Stato e Regioni sulle materie di legislazione concorrente. In realtà c’è stata una mancanza di volontà politica da parte degli organi ministeriali ad applicare correttamente l’articolo, soprattutto nel non definire i principi generali di propria competenza, nel rallentare i lavori della “conferenza Stato Regioni” che avrebbe dovuto affrontare e risolvere sia i conflitti di competenza senza arrivare alla Corte Costituzionale, sia un lavoro di armonizzazione delle legislazioni regionali. La maggior parte delle Regioni non ha sostenuto con convinzione il nuovo ruolo assegnato dalla Costituzione, rifuggendo dalla responsabilità che comporta ogni autonomia
Per quanto riguarda la scuola era di competenza esclusiva dello stato la definizione delle “norme generali sull'istruzione”, mentre era oggetto di legislazione concorrente e quindi di competenza regionale nel rispetto delle norme generali dello Stato, “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”. L’esclusione dell’istruzione e della formazione professionale dalla legislazione concorrente era motivata dal fatto che questa rientrava nella legislazione esclusiva delle Regioni la cui potestà legislativa non ha bisogno di una norma generale dello Stato.
La modifica dell’art. 117 che è stata approvata nelle prime delle quattro approvazioni previste per una modifica costituzionale, ha un impronta neo-centralista, toglie poteri alle Regioni per conferirle allo Stato.
Diventano di competenza esclusiva dello Stato non più le “norme generali” ma le “disposizioni generali e comuni sull'istruzione; ordinamento scolastico”. Dalla norma alla disposizione c’è proprio un passaggio agli aspetti direttamente applicativi definiti centralmente, rafforzati dagli aggettivi: generali e comuni. Così il ministero dell’istruzione che non ha mai creduto nell'applicazione della modifica costituzionale precedente continuerà a emanare quantità sempre più consistenti di circolari ministeriali, circolari applicative e chiarimenti su ogni dettaglio della vita scolastica e il ministro di turno si compiacerà di assumere il ruolo del “preside d’Italia”.
Ci sono, ad esempio, insegnanti che obbiettano alla possibilità di usare diversi “device” elettronici per l’esistenza di una circolare ministeriale che vieta l’uso del cellulare in classe.
Sembrano lontani i tempi in cui approvando la legge sull'autonomia scolastica l’allora ministro L. Berlinguer affermava che tutto quello che non era vietato lo si sarebbe potuto fare.
In realtà il lavoro della commissione e del parlamento ha peggiorato il testo del governo che prevedeva il mantenimento della dizione “Norme generali sull'istruzione; ordinamento scolastico”. Chiarendo che le norme sull'ordinamento scolastico rientrano tra le competenze dello Stato.
L’attuale riforma elimina totalmente il comma sulla legislazione concorrente, proprio quando contemporaneamente si trasforma il Senato nel Senato delle Regioni. Lì si sarebbe potuto trovare un ambito istituzionale per la valutazione degli ipotetici conflitti tra Stato e Regioni e  si sarebbe potuto svolgere un ruolo di armonizzazione tra le normative regionali, come ad esempio la regolamentazione e il riconoscimento dei titoli della formazione professionale.
Il quarto comma diventa: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di […];.salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di istruzione e formazione professionale, di promozione del diritto allo studio, anche universitario;” Il riferimento all'autonomia scolastica rischia di diventare del tutto pleonastico visto che lo stato si è tenuto il diritto di dettare disposizioni generali e comuni e giuridicamente la norma costituzionale prevale su quella ordinaria.
La competenza legislativa rimane sull'istruzione e la formazione professionale e sui “servizi scolatici” e qui bisognerà di nuovo capire cosa si intende per servizi scolastici, si potrebbe andare da una visione ampia per cui la scuola in sé è un servizio pubblico, ad una più ristretta in cui la legislazione regionale è competente solo per gli aspetti accessori come il calendario scolastico, magari l’edilizia scolastica delle scuole di secondo grado visto che non ci saranno più le province, ma addio ad ogni ipotesi di decentramento della gestione effettiva della scuola, compreso il personale.
L’operazione neo-centralista riguarda anche altri settori come gli enti locali, il turismo, la cultura, la protezione civile, per la scuola c’è il rischio che finisca una stagione che non è mai cominciata.

La procedura prevede altri  passaggi alle camere come si potrebbe contribuire a far cambiare idea al Parlamento, almeno per togliere armi all'apparato ministeriale?

sabato 9 gennaio 2016

perché no

Ho titubato a lungo, perchè temo di non avere molte cose interessanti da raccontare, poi mi sono deciso: lo faccio anch'io un blog, magari non saranno tante le cose interessanti ma ogni tanto qualcuna si. Poi potrebbe funzionarmi un po' come archivio delle cose scritte qua e la, magari le ritrovo meglio se le metto in un blog.