martedì 2 ottobre 2018

Che fine farà il "bonus docenti"?


Il 31 agosto 2018 si è conclusa la sperimentazione del “bonus” per la valorizzazione del merito dei docenti. Come ADI ci siamo espressi nettamente in modo contrario a questa scelta. Forti del nostro specifico sguardo internazionale sulla scuola, sostenuti dai risultati ottenuti con scelte simili già applicati in altri paesi ci era già chiaro che fosse una scelta sbagliata. Alla scuola non servono più forti competenze singolari estemporanee da premiare a posteriori annualmente ma una organizzazione di squadra con competenze e ruoli differenziati attraverso una vera e propria carriera dei docenti stabile, per andare oltre la valorizzazione del “capitale umano” verso una organizzazione che faccia emergere il “capitale professionale”.
Il meccanismo è stato applicato ma non se ne conoscono i risultati di una azione che la legge stessa definiva sperimentale. Il MIUR ha condotto una indagine sull’applicazione solo nel primo anno. Secondo il comma 130 gli USR dovrebbero fornire al ministero una “relazione sui criteri adottati dalle istituzioni scolastiche”, queste relazioni dovrebbero essere esaminate da un apposito comitato tecnico scientifico, esplicitamente previsto per legge dal comma 130, che dovrebbe predisporre le linee guida per l’applicazione definitiva del meccanismo.
Tutta la sperimentazione sembra conclusa con un’altra malsana abitudine italiana, quella di modificare una legge del Parlamento non solo con Decreti Ministeriali ma addirittura con il Contratto Collettivo Nazionale. Quello della scuola infatti di aprile 2018 fa confluire il fondo specifico nell’unico fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, poi all’art. 22 introduce anche il “bonus docenti” nella contrattazione sindacale d’istituto per la definizione “dei criteri generali per la determinazione dei compensi”. Ma secondo il comma 127 i criteri sono definiti dal comitato di valutazione. Sembrerebbe quindi che il DS assegnerà il “bonus” tenendo dei criteri del comitato di valutazione e applicando quelli contrattati con la RSU.
Siccome poi le farse della normativa non ci stupiscono più, il CCN parla di far confluire nel fondo per il per il miglioramento dell’offerta formativa anche quello del “bonus” a partire dall’a.s. 2018-19, l’Aran con una nota del 29 agosto 2018 (a due giorni dal termine dell’anno scolastico!) rettificando una propria nota di luglio, afferma che la contrattazione dei criteri con l’RSU vale anche per l’anno scolastico 2017-18 nel comunicarlo alle scuole fa presente che tanto i soldi non ve li hanno ancora dati.
Temo che anche questa sperimentazione finirà all’italiana senza una vera valutazione sui dati senza una decisione chiara su come proseguire, rimarrà in vita come un residuato, una riserva da cui da cui di volta in volta recupere fondi, come del resto è già avvenuto proprio con il Contratto. Nessun cambiamento in vista insomma.

Il nuovo Codice della Protezione Civile


All’inizio dell’anno è stato pubblicato il nuovo “Codice della protezione civile” con il D.lgs. n.1 del 2 gennaio 2018. Precedentemente il Servizio Nazionale di protezione civile era regolato dalla Legge 225 del 1992.
La legge del 1992 era stata fortemente voluta dall’On. Zamberletti che aveva svolto il compito di Commissario Straordinario nel Terremoto del Friuli del 1976. La legge arrivava in porto allora dopo 12 anni di discussioni e ripensamenti e dopo che nel frattempo diverse emergenze avevano messo in luce gravi disfunzioni nella gestione centralistica delle emergenze. È rimasto storico l’intervento dell’allora Presidente delle Repubblica Sandro Pertini con un messaggio alle Camere ma anche ai cittadini tramite un intervento in televisione a seguito delle disfunzioni durante l’emergenza del terremoto dell’Irpinia del 1980.
Un precedente fatto storico aveva segnato in modo profondo la discussione sul tipo di organizzazione da dare alla protezione civile in Italia: l’alluvione di Firenze del 1966. In quella occasione parecchi studenti italiani si sono autonomamente e spontaneamente mobilitati per portare soccorso alla città ricca di monumenti e beni culturali, furono definiti “gli angeli del fango”. Tanta abnegazione era però priva di organizzazione e di direzione operativa col rischio di aggravare i problemi di gestione dell’emergenza. Anche durante il terremoto del Friuli fu significativa la presenza del volontariato nei soccorsi, ma questa volta era più strutturato e organizzato in associazioni come ad esempio l’Associazione Nazionale Alpini (ANA) che da allora ha continuato con grande professionalità gli interventi in tutte le successive emergenze.
Gli avvenimenti hanno spinto quindi il “padre della protezione civile”, l’On. Zamberletti ha insistere e ha ottenere nella L. 225/1996 che la protezione civile in Italia fosse concepita come un servizio pubblico e non come un corpo specifico dello Stato, con il coinvolgimento di diversi soggetti sia gestionali che operativi. Un modello diverso sia di quello francese, centralistico di uno specifico corpo statale che di quello tedesco basato invece su una forte presenza di volontariato. In Italia la protezione civile è nata e continua a essere definita nel nuovo codice come un “Sistema” che coordina diverse competenze in caso di necessità. Un ruolo particolare è riservato dal punto di vista gestionale ed operativo al Dipartimento Nazionale di Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e operativamente nel primo soccorso tecnico al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
Dal '92 ad oggi sono intervenute diverse modifiche sul piano giuridico amministrativo: dal nuovo ruolo delle regioni, dei comuni e delle province, una nuova suddivisione dei ruoli tra tecnici e politici. Anche la gestione delle varie emergenze che si sono succedute ha messo in evidenza criticità organizzative da affrontare in un'ottica di miglioramento. Non da ultimo la scarsità di risorse economiche disponibili ha inciso anche sul sistema di protezione civile.
Il nuovo Codice della protezione civile prevede uno specifico articolo sulla partecipazione dei cittadini, l’articolo 31. Il primo comma afferma che il Servizio nazionale promuove la crescita della resilienza delle comunità.
Quello della resilienza è un concetto che è entrato nel dibattito in questi ultimi anni, è un concetto derivato dalla fisica dei materiali che descrive le capacità elastiche e di reazione dei materiali che dovrebbe essere applicata anche alle comunità, la capacità cioè di reagire agli eventi eccezionali assorbendo e reagendo in modo positivo. Diversamente dai materiali rigidi (comunità poco flessibili) che superato il punto di resistenza si rompono e non si possono reintegrare facilmente o da materiali plastici (comunità poco strutturate) che subiscono i cambiamenti in modo permanente senza reazione.
Al secondo comma si sottolinea la necessità di formare e informare la popolazione sui rischi. Sempre al secondo comma si definisce però anche un nuovo concetto: le comunità in occasione delle emergenze “hanno il dovere di ottemperare alle disposizioni impartite dalle autorità di protezione civile in coerenza con quanto previsto negli strumenti di pianificazione.” Per la prima volta viene introdotto il concetto di “dovere” dei cittadini anche durante l’emergenza e non solo quello dei diritti.
Il terzo comma chiarisce che i cittadini possono concorrere allo svolgimento delle attività di protezione civile in due modi: aderendo alle organizzazioni di volontariato che ne curano la formazione e l’addestramento, ma anche negli interventi diretti “riferiti al proprio ambito personale, famigliare o di prossimità” Quindi, se da una parte non è più tempo di “angeli del fango”, il cittadino in caso di emergenza deve mettere in atto i comportamenti indicati dalle autorità di protezione civile e può adoperarsi per mettersi in sicurezza autonomamente e portare soccorso ai propri famigliare e vicini.
Come associazione riproporremo anche questo autunno delle attività formative rivolte a tutti i cittadini.
È inoltre utile sapere che si può consultare il Piano d’emergenza comunale al link:
È inoltre disponibile un applicativo denominato “protezione civile Lombardia” da installare sul proprio smartphone che permette ai cittadini di essere informati in tempo reale sui comunicati di allertamento emessi dalla Regione Lombardia.
In emergenza la nuova parola d’ordine dovrà essere: “cittadini informati, comunità resiliente”.

Ma il '68 c'è stato anche a Bellusco?


Sono usciti quest’anno diversi libri, non solo in Italia, che ricordano i cinquant’anni che ci separano dal 1968. I cambiamenti sociali hanno però tempi più lunghi in cui si manifestano, per cui diverse situazioni negli anni precedenti e poi negli anni successivi hanno determinato in realtà un periodo storico di grandi innovazioni che è continuato negli anni ‘70.
Anche a Bellusco arrivano al pettine istanze di cambiamento che coinvolgo le due strutture dei poteri forti del paese, il comune e la parrocchia.
All’interno del comune si gioca una partita tutta interna al la Democrazia Cristiana con una crisi che porta alla nomina a Sindaco di Edoardo Brioschi il 25 agosto del 1966 con una giunta definita del “Nuovo corso”, una giunta che dura in carica però solo due anni fino alle dimissioni il 2 aprile 1968. Alle successive elezioni del 1969 vince una lista civica chiamata il “Salvagente” composta da personalità laiche della società civile e dal PSI, guidata dalla personalità forte del Sindaco il dott. Giancarlo Gatti.
Anche la parrocchia viene lacerata da questo scontro politico e nel 1966 si ha la rottura tra il parroco Don Giorgio Colombo e il coadiutore Don Luigi Tagliabue, con il trasferimento di quest’ultimo e una spaccatura tra i parrocchiani che si dividono nelle due fazioni.
In paese era nato anche circolo delle ACLI che andava ad intaccare l’egemonia di altre associazioni religiose. Terminano in quegli anni diversi gruppi cattolici: i “Luigini”, la “”Scuola del SS Sacramento” e quella di “S:Agnese”. Sono gli anni in cui si sospesero anche i carri.
Altre iniziative nascono in paese con una forte opposizione del parroco, nel 1966 si apre a Bellusco una sezione del CAI che organizza gite sciistiche domenicali frequentate da giovani ragazzi e ragazze, insieme, e senza controllo, disertando l’oratorio.
Negli anni precedenti si era aperta in paese una sala cinematografica privata: il famoso “Cinema Roma”, in concorrenza con quello parrocchiale, e anche per il fatto che trasmetteva anche film vietati, era spesso oggetto di strali durante le prediche domenicali. Ma lì si è potuto vedere "In nome del Papa Re" del 1969 di Luigi Magni e "Giù la testa" del '72 di Sergio Leone.
Personalmente ero piccolo e ho vissuto marginalmente questi episodi specifici, ma ho vissuto direttamente un particolare osservatorio belluschese dei cambiamenti sociali che da quegli anni si sono poi sviluppati: l’osservatorio della “Latteria di Giannina”
La “Latteria” ha aperto nel 1963, ma i primi gruppi giovanili cominciano a frequentarla qualche anno dopo. La prima generazione è quella dei nati intorno alla seconda metà degli anni Quaranta e quando ha cambiato tipo di attività era frequentata dai ragazzi nati nella prima metà degli anni Sessanta. Vent’anni di gioventù (la “meglio gioventù” belluschese?) è passata dal bar. Le generazioni si susseguivano e mano a mano che “mettevano la testa a posto” lasciano il campo a quella successiva
Nel bar non si serviva vino, i super alcolici erano utilizzati per correggere il caffè, e per la clientela di giovani e studenti con poche disponibilità andavano alla grande la gazzosa (che poteva diventare un cocktail con l’aggiunta dello sciroppo di menta), la spuma in diverse varianti, le bibite più note, e d’estate il ghiacciolo.
Erano gli anni del boom economico, delle prime macchine, anche oltre la 500, c’era la 850 e la 850 spider che andavano forte, poteva andare bene anche una 600 ma la si poteva trasformare in stile “pop art” in un colore originale e con decorazioni ispirate alla Andy Warhol. Poi arrivarono anche la 124, la 128, la mini e il maggiolone.
All’inizio la presenza femminile era piuttosto significativa, si può solo immaginare con quali conflitti e pressioni in famiglia. Tanto che a un certo punto per creare un ambiente più libero, e anche perché il bar, pur utilizzando la cucina privata, era comunque piccolo (tre tavolini, il flipper e il jukebox), i ragazzi fondano una associazione il “Pincy Club”. Chissà chi ha importato dal linguaggio comune inglese quel nome! Affittano un piccolo capannone in disuso in centro paese e ne fanno una specie di discoteca.
Dalla cultura anglosassone arriva soprattutto la musica attraverso il jukebox, all’inizio sono i cantanti italiani più all’avanguardia e i complessi. Dopo arriva anche la musica più colta inglese e americana. Ma anche i giovani belluschesi si cimentano dando origine ad alcuni gruppi musicali "I plegg", “Le pagine del futuro”, "Alla corte di Enrico VIII".
Col tempo le ragazze vengono meno e l’ambiente diventa più “machista”, le ragazze si incontrano in discoteca a Pontirolo o a Fara Gera D’Adda, la domenica pomeriggio! La domenica sera c’è la “Domenica Sportiva” da vedere in gruppo e accendere le discussioni sportive per tutta la settimana.
I cambiamenti di costume erano comunque sempre traumatici, i primi capelloni, i jeans sfrangiati, i pantaloni a “zampa di elefante”, il maxicappotto, l’eskimo…
Negli anni si era cominciato a discutere anche di politica, riportando in paese esperienze maturate nelle scuole e nelle fabbriche, l’opinione prevalente, o che si esponeva di più, era quella di sinistra, sull’altro versante ci stava mio padre democristiano convinto e “fanfaniano”, di solito le discussioni le troncava mia madre con: “Allora! Non è ora di piantarla lì?” (in dialetto) e tutti si tornava nei ranghi. Stessa chiusura succedeva spesso anche per le discussioni di calcio, quando sembrava di andare oltre il consentito. Assolutamente redarguita la bestemmia.
Nel 1974 in occasione del referendum sul divorzio nasce il CDM (coordinamento dodici maggio) che organizza una sede nella “palazzina”. Negli anni successivi il gruppo rappresenterà l’ala più movimentista della politica belluschese con le battaglie sui trasporti e l’autoriduzione delle bollette del gas.
Alla fine degli anni Settanta arriva anche la crisi della “Bloch”. I “maschi” della “Latteria “hanno avuto nel tempo rapporti contradittori con le operaie della grande fabbrica. Nella lotta ci si butta il primo obiettore di coscienza belluschese, il mai dimenticato Lino Menichetti che potrebbe essere un emblema di questa storia: importante formazione cattolica in oratorio, diplomato al liceo classico Zucchi di Monza, obiettore di coscienza, animatore sociale (in dialetto si dice: “vuna la fa quel oltra la pensa”), passa nel vario arcipelago delle forze politiche che allora si definivano di estrema sinistra e poi logopedista in quel di Lerici.
Quello con la religione ha continuato ad essere un rapporto difficile, la domenica mezzogiorno quelli che non erano andati a messa aspettavano quelli che ci erano andati per farsi dire qual era stato il vangelo, cosa aveva detto il prete alla predica, in modo da poter sostenere il probabile interrogatorio materno al pranzo domenicale tutti vestiti della festa.
Gli aneddoti sono ovviamente tantissimi, e sono degni di alcuni “film panettoni” che raccontano quegli anni. Difficili anche tenerli segreti. Quando uno cominciava dicendo “Eh … non sono cose che si possono dire” dopo qualche ora si sapeva quasi tutto e a volte anche di più.
Qualcuno ha anche tentato l‘avventura “on the road” e la fuga dal paese che sembrava troppo provinciale. A qualcuno è andata bene ad altri meno.
Erano anni in cui c’era spazio per una grande creatività, dove l’assenza di regole precise o la voglia di trasgredirle perché ritenute vecchie dava la possibilità di inventarsi cose. Solo per ricordarne alcune, si sono improvvisati: una ciclistica a cronometro, senza bici da corsa, lungo via Bergamo, provinciale, via Milano via Castello, un torneo di calcio in 24 ore, un incontro di calcio in Germania, tornei di ping pon (uso sala autoscuola Dossena), tornei di scacchi, di “cutec” ….
Qualche partita di calcio improvvisata d’estate dopo mezzanotte sull’incrocio via Suardo, via Bergamo via Roma arrivava al limite del “disturbo della quiete pubblica” oppure dava il via all’applicazione di una forma di democrazia diretta quando il Sindaco si affacciava al balcone della propria casa per rimproverare i ragazzi e partiva uno “scambio di opinioni” sulle promesse elettorali più o meno mantenute.
Insomma, c’è stato un ’68, di paese.