sabato 27 giugno 2020

Scuola e didattica a distanza


Scuola e didattica a distanza

C’è un ragionamento sulla scuola che è maggioritario nell’opinione pubblica e che è stato anche uno slogan molto presente nelle manifestazioni dei giorni scorsi: che il lavoro fatto nella fase della Didattica A Distanza (DAD) non sia scuola. Affermazione che trovo offensiva rispetto ai tantissimi insegnanti che hanno lavorato anche di più di quanto avveniva nella Didattica In Presenza, tra chi già si era cimentato di suo nell’uso TIC per fare didattica e chi ci si è buttato improvvisando e imparando in fretta ad utilizzare questi strumenti. Si sono commessi errori in questa attività? Probabilmente tanti (solo pochi hanno il coraggio di autoassolversi del lavoro fatto in questi mesi in tutti i campi), è normale in una fase di emergenza; (affascinante anche i diversi significati che la parola emergenza ha nella lingua italiana, ma andrei fuori tema). L’errore più vistoso è stato quello di pensare di replicare la strumentazione della didattica in presenza a quella a distanza, compresa la valutazione. Errore d’impostazione che si rischia di ripetere anche per la ripresa a settembre. La mancanza di competenze diffuse, nonostante gli investimenti degli scorsi anni sulla formazione in questo senso, tra insegnanti e dirigenti, ha portato spesso a non capire quali fossero le potenzialità e i limiti della DAD (ma anche della didattica in presenza), a partire dalla differenza che si può fare tra la Formazione A Distanza e l’e-learning; dove nel secondo caso diventa centrale l’interazione sia con gli strumenti didattici che tra gli studenti.
I dati raccolti in tempo reale mettono in evidenza un problema di forte divaricazione tra gli studenti in merito alle condizioni domestiche, alle disparità territoriali sulla infrastruttura della connessione (due aspetti su cui la scuola non ha molti strumenti d’intervento) la mancanza di competenze digitali e di strumenti individuali adeguati, aspetti su cui invece la scuola può fare qualcosa di più. Sull’ultimo punto della strumentazione però dovremmo metterci d’accordo, fino a poco prima della chiusura sembrava che il problema fosse esattamente l’opposto con ministri che scrivevano circolare in cui non solo vietavano l’uso di cellulari e tablet a scuola, ma addirittura il possesso di questi strumenti; scuole che integravano l’arredo dell’aula con apposito armadietto in cui chiudere a chiave i cellulari degli studenti, lamentando l’eccessiva invasione di questi strumenti.
L’emergenza sanitaria ha richiesto la chiusura fisica delle scuole a cui si è cercato di sopperire con una strumentazione diversa che richiede una didattica diversa meno trasmissiva e più attiva e collaborativa da parte degli studenti, diversificata anche rispetto all’età degli studenti stessi. Ho l’impressione (solo questa per ora) che gli errori più vistosi li abbiamo fatti con gli studenti più grandi, quelli con cui potenzialmente è possibile una maggiore applicazione delle potenzialità delle TIC, rispetto agli ordini scolatici del primo grado in cui la didattica attiva e collaborative era già più presente prima della chiusura, come già ribadito da più parti il problema prioritario è la didattica rispetto alla strumentazione.
Ritengo che la DAD sia stata comunque scuola, una scuola diversa e che spero sia in grado di fornire apporti interessanti anche alla didattica in presenza da settembre, confidando che l’epidemia sia ridotta entro limiti di rischi accettabili per ridurre il distanziamento sociale. E’ stata più scuola ad esempio dell’idea di ricominciare la (didattica?) in presenza per una settimana o per fare la festa di fine anno.
Che l’e-learning sia una possibilità con cui misurarsi nella didattica quotidiana lo si può vedere, anche limitandoci all’ambito formativo, alla sviluppo che stanno avendo le università on line, ai MOOC che tutte le principali università e centri di formazione stanno proponendo in un ottica di life long learning, alla fortuna anche economica che hanno avuto esperienze come quelle della Khan Academy o altre forse meno famose ma molto utilizzate dai nostri studenti come la pagina youtube di Elio Bombardelli (non solo influencer quindi), o anche ancora più modestamente la mia pagina che ha ora 730 iscritti (quasi tutti non sono miei studenti, loro accedono ai filmati dalla piattaforma della scuola senza la necessità di iscriversi).
Grandi innovazioni nel campo dell’e-learning sono state fatte da alcune case editrici, dalla Zanichelli alla Treccani, ma anche da altri soggetti dalla RAI, all’archivio Alinari, moltissimi musei in tutto il mondo.
Si dice che dopo la pandemia non sarà più uguale a prima (vedremo) per cui sono rimasto perplesso nello scoprire che tra gli slogan delle manifestazioni scorse ci fosse anche l’avversione contenuta in un evanescente bozza del MIUR, della possibilità di contemperare l’integrazione tra DAD e didattica in presenza e anche contro l’affermazione (senza i conseguenti fatti) della necessità di estendere la formazione degli insegnanti e stavolta si spera non per una didattica con le TIC ma per una didattica nelle TIC.
Si dice che la DAD sia priva di una componente fondamentale della didattica che è la relazione, ora proprio il passaggio dalla Formazione A Distanza all’e-learning ha come punto centrale l’elemento dell’interattività e della collaborazione per il raggiungimento del risultato; in cui è importante il ruolo del tutor per alimentare e tenere vivi gli aspetti relazionali. La mancanza di coscienza dei diversi ruoli e compiti necessari per attivare una didattica in e-learning rischia di continuare l’improvvisazione dei mesi scorsi.
Dovremo anche accordarci sul tipo di relazione, di empatia e di benessere che la scuola (secondo alcuni psicanalisti comunque un archetipo paterno) deve assicurare agli studenti, che è centrata sull’apprendimento. Tutta la passione e anche l’amore che l’insegnante mette nella relazione con lo studente è focalizzata all’apprendimento in quanto crescita, essendo relazione può anche non essere condivisa, ma in quanto professionisti della formazione tocca a noi insegnanti capire come impostare il lavoro.

martedì 9 giugno 2020

I boschetti di robinie


Ricordi belluschesi 9

I boschetti di robinie

Venendo da Vimercate verso Bellusco dal provinciale, nella stagione estiva, ci si presenta un paesaggio molto significativo. Una cortina di alberi copre il paese ma da questa emergono come presenza significativa la chiesa e il campanile. Anche poi svoltando per entrare nell’abitato una bella quinta di robinie introduce scenograficamente il paese. Sembra quasi di entrare in un bosco per poi arrivare nella radura e trovare le case.
Mi ricordo che si era espresso più o meno in questi termini anche il Cardinale Martini durante la sua visita pastorale a Bellusco
Questo importante elemento del paesaggio è caratterizzato dalla presenza della robinia, il nome botanico è Robinia pseudoacacia, è una pianta originaria dell’America del Nord, leggiamo su Wikipedia: “Fu importata in Europa dall'America del Nord nel 1601 da Jean Robin, farmacista e botanico del re di Francia Enrico IV. L'esemplare proveniva dalla Virginia. Secondo la maggior parte delle fonti, nel 1601 Jean Robin ne piantò un esemplare nell'attuale piazza René Viviani, sulla Rive gauche, nei pressi della chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre; esso è ancora esistente, anche se danneggiato nella parte più alta della chioma dai bombardamenti della Prima guerra mondiale e sostenuto da tre pilastri in cemento. Ciononostante, continua a fiorire ogni primavera, da oltre quattrocento anni. Dei più di 370.000 alberi dei viali e parchi parigini quest'esemplare è comunemente considerato il più antico, oltre ad essere l'acacia più longeva d'Europa. È presente nell'elenco ufficiale degli "alberi notevoli di Francia" (Arbres remarquables de France) ed ha una circonferenza di circa 3,90 metri”.
Dalla fine del Settecento da albero ornamentale botanico si è diffuso come coltivazione produttiva. In quel periodo c’è stato un forte aumento del prezzo del granoturco e un po’ come noi ora seguiamo il prezzo del petrolio, allora i forti cambiamenti economici erano determinati dai prezzi dei prodotti agricoli. Il governo austriaco emana una serie di provvedimenti economici per incentivare la produzione del mais promuovendo il disboscamento delle aree, anche quelle meno produttive come le brughiere.
Anche nel territorio di Bellusco spariscono in quegli anni boschi di “essenze forti”. Il legname però continua ad essere la principale fonte energetica da riscaldamento per cui si piantano sulle rive e i dislivelli del terreno dovute a ragioni geologiche, difficilmente coltivabili, boschetti di robinie.
La fortuna di questa pianta è determinata da diversi fattori: una crescita molto rapida tanto da permettere un taglio produttivamente efficace in tre anni, una riproduzione molto intensa per polloni direttamente dalle radici, tanto da farla ritenere una pianta infestante per gli altri tipi di bosco, la produzione di legname molto duro e resistente all’acqua utile per la paleria, gli attrezzi ma anche le scale a pioli. Per i montanti laterali delle scale a pioli si sceglieva una pianta bella dritta e la si lasciava crescere anche più di tre anni in modo vere un tronco della dimensione utile, la pianta assumeva il titolo di “scalet”. I fiori, “laciarei” sono commestibili e posso essere utilizzati nelle frittelle. Il fusto e le foglie sono tossici anche se qualcuno racconta che la corteccia era utilizzata per cicatrizzare le ferite da taglio.
Tra sette e ottocento quindi anche il paesaggio belluschese si è molto trasformato popolandosi dei boschetti di robinie, la collocazione di questi boschetti poco profondi disegnavano comunque una specie di enclave, un dentro che era il paese e un fuori che neanche si vedeva e diventa lontano, separando, a volte, anche l’abitato dalle frazioni.
Venendo un po’ meno la funzione economica la permanenza di questi boschetti è determinata proprio dalla persistenza della robinia che a noi mantiene una certa variabilità ecologica, dei corridoi ecologici nord sud per la fauna e un paesaggio che riconcilia l’anima.