Ricordi belluschesi 3
Bellusco nel terremoto dell'Irpinia del 1980
Oggi 23 novembre ricorre l’anniversario del terremoto in
Irpinia, era il 1980 39 anni fa. È stato il mio primo intervento di protezione
civile anche se non ancora inquadrato in una organizzazione (del resto la
protezione civile ancora non esisteva), si era attivato un gruppo di uomini e
giovani intorno all’oratorio. In realtà la mente di tutto è stato Don Fedele
parroco di Porto d’Adda (ma anche insegnante di religione al Banfi) che insieme
ai suoi parrocchiani si era mobilitato per il terremoto del Friuli del 1977, in
quella occasione con un aggancio di parrocchiani originari dei paesi terremotati
era riuscito ad organizzare un intervento diretto con squadre di volontari che
hanno montato case provvisorie utilizzando le baracche di cantiere, quindi
raccolta fondi, acquisti delle baracche di cantiere, trasporto sul posto e
montaggio, tutto in gestito in proprio con volontari. Sulla base di questa
esperienza tre anni dopo si rimette in moto la macchina organizzativa per
l’Irpinia, scegliendo anche questa volta un centro periferico rispetto al
“cratere” dell’evento: Spiano, una frazione di Mercato San Severino in
provincia di Salerno. Stavolta l’intervento è più impegnativo e Don Paolo raccoglie
l’appello di Don Fedele e la parrocchia di Bellusco partecipa attivamente
all’operazione. Le squadre si alternavano ogni settimana e anche il modello di
baracche scelto cambia, si sceglie un modello un po’ più confortevole, si
realizza la piattaforma di calcestruzzo come piattaforma e poi sopra si montano
le casette provvisorie. Come volontari eravamo ospiti delle famiglie che
avevano conservato la casa senza danni. Don Fedele no, lui dormiva sul pulmino
che serviva per il viaggio perché aveva paura dei terremoti e non si fidava a
dormire nelle case. Il contatto in questo caso era il parroco che chiamavamo
“don terremoto” perché si ostinava ad usare la chiesa per le funzioni anche se
il tetto presentava una evidente apertura. Ma a “don terremoto” non mancava la
dialettica raccontava una sera dopo il lavoro che in paese era ancora in vigore
la pratica di far benedire dal parroco la nuova automobile appena acquistata,
ora un parrocchiano subito dopo la benedizione fa un incidente in cui si salva
la vita ma la macchina non è recuperabile e ritorna dal parroco per chiedere
chiarimenti sull’efficacia della sua benedizione e lui gli risponde “Cosa vuoi
di più ti sei salvato la vita!”.
Sono state diverse le persone di Bellusco che si sono
impegnate nella raccolta fondi e poi che si sono alternate nelle settimane di
lavoro a Spiano. La continuità del cantiere era garantita da due ragazzi di una
comunità di recupero per tossico dipendenti. Sembra incredibile, ma è stata
questa la terapia che li ha tirati fuori, un’operazione che solo il coraggio di
sognare di Don Fedele poteva concepire. Uno dei ragazzi mi ha raccontato che
era sceso anche suo padre a trovarlo e continuava a piangere perché non ci
credeva che fosse proprio suo figlio a fare questa cosa.
Spiano era una frazione poverissima, l’unica attività
produttiva era la realizzazione di scale a pioli in legno, con tutta una
lavorazione artigianale incredibile per raddrizzare i legni dei montanti
laterali. L’impatto con questo sud e con la famiglia che mi ha ospitato è stato
molto forte, intanto il ricordo di una pasta e fagioli che ormai è diventata
mitica, non ce né stata più nessuna uguale. Il locale per il pranzo aveva il
pavimento in terra battuta ma aveva un televisore da cui passavano le
pubblicità dei prodotti per la pulizia dei pavimenti e mi domandavo se solo io
vedevo la contraddizione. Il personaggio più importante della famiglia era il
figlio maggiore, qualche anno più di me, aveva ottenuto un impiego fisso e
pubblico al catastato! E “teneva il 128”. La figlia che chiedeva anche lei di
fare la patente aveva messo in crisi la famiglia: cosa avrebbero detto in paese
di una ragazza che fa la patente?
Ad un certo punto l’operazione Spiano arriva alle orecchie
della Caritas Ambrosiana che doveva decidere come utilizzare i fondi raccolti,
chiama Don Fedele e gli da carta bianca ma per intervenire su Sant’Angelo dei
Lombardi, nell’epicentro dell’area. La città aveva perso nel terremoto il
sindaco, tutto il consiglio comunale e il vescovo, la direzione amministrativa
viene assegnata al farmacista e poi gira la voce che vorrebbero Don Fedele come
vescovo, ma lui si oppone deciso, tra l’altro gli chiedono di utilizzare i fondi
per ricostruire l’”episcopio”. Ma Don cos’è? Io con quel nome conosco solo un
apparecchio in grado di proiettare sul muro le pagine di un libro (prima delle
nuove tecnologie, in qualche scuola lo potrete trovare negli scantinati), ma
no! “E’ la casa del vescovo”. Non se ne parla neanche con tutta la città a
terra. Studia e ristudia Don Fedele tira fuori un’altra delle sue idee. “Qui
l’attività principale è l’allevamento ma poi il latte lo vendono a prezzi
bassi, ma se invece gli mettiamo in piedi una cooperativa agricola per l’uso
dei mezzi agricoli e gli facciamo imparare a produrre e commercializzare i
formaggi prodotti, superiamo il terremota gli diamo una svolta”. Detto fatto,
mette in piedi anche una attività formativa, alcuni agricoltori di Sant’Angelo
vengono ospitati per un periodo e formativo presso aziende agricole del sud
Milano per poi ritornare a mettere in piedi le attività di trasformazione.
Don Fedele non si può farlo santo perché poi si è
innamorato, si è sposato, ha avuto un figlio che ha battezzato con il mio nella
notte di Pasqua del 1989 a Fontanelle da Turoldo.
Aggiungo la foto della nostra squadra, tre belluschesi, un
ragazzo di Vimercate e i due ragazzi che gestivano la continuità del cantiere.
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