Ricordi belluschesi 8
Famiglia i nomi e l’urbanistica
I miei parenti paterni sono chiamati “i troni” e deriva dal
fatto che il mio bisnonno gestiva una osteria. Probabilmente l’importazione dei
vini di più forte valore alcolico dal sud serviva per tagliare vini di minore
gradazione alcolica della nostra zona, quindi l’importazione di vino da Trani:
località della Puglia ha dato il nome alle osterie che erano chiamate “trani”.
Nelle nostre campagne la vite era coltivata “maritata” ai
gelsi, si usavano cioè i gelsi come supporto per i tralci della vite.
Nell'ultimo ventennio dell’Ottocento la fillossera a distrutto gran parte del
patrimonio viticolo europeo e anche da noi le viti originarie sono state
sostituite dalla vite “americana”, con scarse qualità dal punto di vista
vinicolo, si produceva un vino dolciastro chiamato “ul pincianel” di uso ormai
strettamente personale. Da allora sarà quindi aumentata l’attività di
importazione dei vini da altre parti d’Italia.
L’osteria era situata in via Bergamo all'altezza degli
attuali numeri civici 24 e 26 recentemente ristrutturati da un ramo della
famiglia “di troni”. Sulla mappa catastale del 1855 questa zona del paese non
era ancora urbanizzata ma si possono notare le variazioni successive che vanno
a raddrizzare ed allargare la vecchia “strada del castello” che diventa
importante asse di traffico, la realizzazione della linea ferrata del 1890 ha
dato la configurazione attuale di questa zona. La linea del tram era utilizzata
anche per il trasporto merci e in questa zona era presente un binario morto che
serviva per il carico e lo scarico delle merci ed era probabilmente collocato
sull'attuale
era a parcheggio, le case in questo tratto sono arretrate rispetto
a quelle che vanno verso la piazza. Da notare inoltre che i cortili che si
formano sono molto diversi da quelli tradizionali, sono infatti insediamenti
commerciali, a partire dal civico 14 che era chiamata “curt del negusiont” e
anche ai numeri civici 18, 20 e 22 e quelli di fronte. Erano cortili senza stalle,
un corpo edilizio sul lato corto verso strada e poi il lotto si sviluppava in
profondità con portici o laboratori per il deposito o la lavorazione delle
merci. In fianco, appunti, c’era l’osteria “di troni”.
I tre figli del mio bisnonno non hanno continuato l’attività
ma hanno cambiato indirizzo, mio nonno Enrico (Ricü), tre figli e Adrea (Indrien),
sette figli, hanno gestito in comune fino alla fine della Seconda guerra
mondiale un commercio di vitelli, inoltre vivevano come un’unica famiglia
(anche tra secondi cugini ci si sente in realtà un po’ primi) Mario invece ha
gestito una macelleria a Boviso Masciago, poi portata avanti dal figlio
Osvaldo. L’Osvaldo ogni tanto arriva a Bellusco con una bicicletta sportiva da
corsa oppure con qualche auto sfolgorante di cui era appassionato.
Mio nonno Enrico era un tipo particolare e molto volitivo, ha
avuto tre figli mio papà Ettore, Luigi e Carlotta, ma si lamentava di tutti e
tre, secondo lui non sarebbero stati in grado di portare avanti l’attività. “Ste
nuove generazioni chissà cosa saranno in grado di fare!” (Non mi sembra nuova questa
affermazione).
La moglie si è ammalata di cuore per cui al momento della
separazione delle famiglie con il fratello Andrea la zia Carlotta già sposata
c’era quindi bisogno di una donna in casa e così che hanno accelerato il
matrimonio dei miei che si sono sposati il 2 gennaio del 1947, i festeggiamenti
si sono svolti in casa con tutto da preparare e il nonno che imprecava contro
la zia Carlotta che non si faceva vedere salvo poi scoprire che aveva partorito
un figlio proprio lo stesso giorno. Al contrario dei figli la nuora gli era
entrata in simpatia. Gli piaceva molto la mostarda e diceva a mia madre che
morto lui non l’avrebbero più comprata a Natale perché mio padre spendeva
troppi soldi per comprare libri e giornali (effettivamente una passione che ha
poi mantenuto), è così che invece, anche da noi sotto le feste di Natale si
comprava una latta da 5 chili di mostarda proprio per smentire il nonno.
L’attività di compravendita dei vitelli comportava la gestione di
una stalla nel cortile che con il continuo via vai di mezzi e bestiame spesso
si sporcava, mia madre provvedeva a spazzolare il cortile, ma anche su questo
il nonno aveva una sua opinione: “Va bene pulire, ma non troppo, qualche filo
di paglia bisogna lasciarlo, perché se no la gente pensa che lì non si lavori
abbastanza”. Nei racconti dei miei genitori l’apoteosi delle sue stranezze l’ha
raggiunta una volta che dopo una furiosa litigata aveva concluso un contratto
in cui si era sentito raggirato e ha preso i soldi li ha gettati nel letame
della stalla e li rimestava, con mia madre che cercava di calmarlo.
E veniamo alla storia dei nomi, un po’ particolare. Quando nasce
mio fratello eredita il nome del nonno: Enrico, quando nasce mia sorella il
parroco decide che deve ereditare il nome della nonna quindi Enrichetta.
Soltanto che la nonna non si chiamava affatto Enrichetta, ma Rachele, tutti la
chiamavano Enrichetta in quanto moglie di Enrico, tra l’altro siccome la
cognata si chiamava effettivamente Enrica in paese venivano chiamate Richeten e
Richeton Il parroco si accorge dell’errore subito dopo il battesimo ma ormai la
cosa era registrata e si rifarà su mia cugina due anni dopo.
Morto mio nonno l’attività di compravendita dei vitelli l’ha portata
avanti mio papà. Comprava i vitelli nei mercati della Val Brembana a San
Giovanni Bianco e poi con una specie di mezzadria li assegnava ai contadini che
li richiedevano da ingrassare, al momento della vendita del vitello l’importo
era diviso a metà, se il vitello fosse morto la perdita sarebbe rimasta a
carico dei miei. Un contratto effettivamente un po’ strano, ma da noi non
esistevano grandi allevamenti di bestiame da carne.
Per svolgere questa attività, morto il nonno, mio padre acquista
un camion. Con questo mezzo che in settimana veniva usato per i vitelli, la
domenica si metteva una panca di legno nel cassone e si ricordano gite
memorabili con tutti i cugini a: Madonna del Bosco, Caravaggio, Madonna della
Cornabusa.
I miei genitori erano molto impegnati prima in Azione Cattolica,
poi nei Comitati Civici della Democrazia Cristiana, una specie di super
militanti in chiave anticomunista che dovevano sostenere la difficili campagne
elettorali del 46 e del 48, mi hanno raccontato che una volta col famoso camion
sono andati con un gruppo di aderenti belluschesi al comizio di De Gasperi in
piazza Duomo a Milano e galvanizzati dal leader decidono di attraversare il
centro di Sesto San Giovanni (che loro chiamavano Sesto San Palmiro) con gli
uomini nel cassone scoperto a catare a squarciagola l’inno della DC “bianco
fiore” recuperando ovviamente una fitta sassaiola. Questo episodio in realtà è
saltato fuori in famiglia quando negli anni Settanta si discuteva animatamente
di politica con mio padre che mi dava dell’”estremista”, quando la discussione
si animava un po’ troppo, mia madre per calmare le acque si metteva in mezzo e
rivolta a mio papà: “dai tas che se dervi me ul liber…”
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