Corona virus, emergenza, protezione civile
Anche mentre sto scrivendo mi sto chiedendo se è necessario
farlo, visto che in questi giorni abbiamo una valanga di parole ed opinioni su
questa emergenza per cui non sono così certo che valga la pena di aggiungerne
altre. Cercherò di contenere il campo di riflessione sul tema protezione
civile. Lo faccio da una esperienza ventennale di volontario e di formatore dei
volontari.
La protezione civile in Italia ha avuto una sua legge
cardine nel 1992, prima quindi del decentramento di questa funzione alle
regioni. La gestazione di questa legge è stata molto lunga e travagliata come
spesso capita in Italia. Gli albori risalgono all'esperienza dell’alluvione di Firenze
del 1966 in cui sono comparsi sulla scena un numero consistenti di volontari
chiamati poi “gli angeli del fango”, animati da tanto impegno ma senza nessuna
organizzazione o strutturazione, caratteristiche che possono compromettere le
azioni di soccorso necessarie. Prima di allora le emergenze erano gestite
solamente dai militari, anch'essi senza specifica preparazione ma con una
struttura organizzativa molto forte e una catena di comando collaudata. Tant'è
che parecchio del gergo militare è entrato anche nel linguaggio della
protezione civile. Il secondo evento “fondativo” è stato il terremoto del
Friuli del 1977 in cui collaborano come volontari gli ex alpini dell’ANA,
quindi già un po’ più strutturati e organizzati. In questa occasione il
commissario prefettizio, l’On. Zamberletti si fa promotore della necessità di
avere una apposita legge che strutturasse la protezione civile in Italia. La
legge come abbiamo detto arriva molto dopo, nel frattempo la gestione di altre
emergenze governata centralmente risultano gravemente inefficaci, tra tutte va
ricordata la gestione del terremoto dell’Irpinia del 1980 dove anche a seguito
dell’intervento diretto del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ad
emergenza in corso, viene richiamato l’On. Zamberletti a porre rimedio alle gravi
disfunzioni del soccorso.
Con queste premesse la protezione civile in Italia,
diversamente che in altri paese europei nasce come un “servizio” non un corpo
autonomo, un servizio che è in grado di coordinare altri servizi e corpi dello Stato
per una attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, per la
gestione delle emergenze e il loro superamento. All'interno di questo servizio
hanno un ruolo principale i vigili del fuoco e i volontari sono solo un
elemento (nella nuova formulazione del D. Lgs 1/2018 nell'elenco dei componenti i
volontari sono al quinto posto).
L’organizzazione della protezione civile in Italia è
formulata secondo il principio della sussidiarietà verticale secondo cui le
autorità più vicine al bisogno sono le più adatte ad affrontarlo. La legge
individua tre livelli. Il primo livello chiamato “A” si riferisce ad una
emergenza gestibile a livello comunale, con il Sindaco che è “autorità di
protezione civile”. Un documento successivo, chiamato “metodo augustus” ha
indicato come struttura operativa a livello comunale il Centro Operativo
Comunale (oppure l’Unità di Crisi Locale). Se invece l’emergenza richiede un
intervento di coordinamento più ampio in termini territoriali o di risorse
viene classificata di tipo “B” coordinata in origine dal Prefetto che attiva il
Centro Operativo Misto oppure il Centro Coordinamento Soccorsi. Su questo
livello ha ora competenza anche il Presidente della Regione che attiva il
Centro Operativo Regionale, inoltre la regione può dichiarare lo “stato di
calamità”. Se l’emergenza richiede l’attivazione di poteri straordinari viene definita
di tipo “C”, può essere dichiarato un primo momento lo “stato di mobilitazione”,
un allertamento e coordinamento di tutte le strutture sotto ordinate, oppure lo
“stato di emergenza” in cui si attiva il Dipartimento della Protezione Civile
con la nomina di un Commissario Prefettizio e con una struttura chiamata “Direzione
di Comando e Controllo” (DICOMAC) di solito collocata in un’area sicura vicino
all'evento. Nella dichiarazione dello stato di emergenza vengono chiariti i
poteri straordinari del Commissario Prefettizio. Il livello comunale,
provinciale e regionale elaborano i piani di protezione civile, la Regione
Lombardia ha coordinato, anche con dei format l’unitarietà della redazione di
questi piani. I piani contengono l’individuazione dei pericoli di un determinato
territorio, la conseguente valutazione del rischio, le operazioni di previsione
e prevenzione del rischio e la descrizione degli “scenari di rischio” in cui si
indica chi fa che cosa in ogni momento dell’emergenza.
Questa organizzazione sussidiaria verticale in realtà non è
entrata correttamente nelle attività delle amministrazioni territoriali che
tendono ad occuparsi di protezione civile e di emergenza solo ad emergenza in
corso, per cui alla domanda dell’allora Sindaco di Roma Allemanno o anche a
quella recente dell’Assessore Regionale lombardo Gallera “dov'è la protezione
civile?” La risposta non può che essere “la protezione civile sei tu”.
Prendendo in considerazione la più semplice delle equazioni
che definiscono il rischio come valutazione di un pericolo: R = F x M dove R
sta per rischio, F per frequenza o probabilità che quel pericolo si manifesti
in quel determinato territorio e M sta per magnitudo, cioè la quantità di danni
che il manifestarsi di quel pericolo può causare a quel contesto territoriale e
sociale, si ricavano alcune considerazioni.
Per ridurre il rischio si può lavorare sulla la probabilità
che quel pericolo si manifesti, questa operazione si ottiene con la PREVENZIONE,
se invece si vogliono ridurre gli effetti di un rischio nell'ipotesi che la
prevenzione non arrivi ad azzerare la possibilità che il pericolo si manifesti
si lavora dunque sulla magnitudo con azioni di PROTEZIONE.
Da tempo si sottolinea una difficoltà di gestione del
livello B, dove i due soggetti: Prefetto (territorialmente provinciale) e il
Presidente di Regione hanno spesso un coordinamento difficile, del resto non è
possibile eliminare il ruolo del prefetto che ha autorità su corpi dello Stato
su cui il Presidente di Regione non ne ha : vigili del fuoco ( in realtà
avrebbero potuto essere regionalizzati, i “pompieri” era un corpo comunale)
forze armate, forze di polizia. Mentre la regione ha poteri sul volontariato, i
servizi sanitari, le strutture di previsione e ambientali.
L’art. 16 del D.Lgs 1/2018 inquadra gli eventi di tipo
igienico -sanitario non tra quelli principali di protezione civile ma tra
quelli per cui si interviene “ferme restando le competenze dei soggetti
ordinariamente individuati ai sensi della vigente normativa di settore”. Ma nel
momento in cui si decide di intervenire con il servizio di protezione civile si
deve intervenire con le sue strutture. Dichiarato lo stato d’emergenza, quindi
intervento di livello nazionale, si nomina il commissario prefettizio, gli si
assegnano i poteri esecutivi necessari, si installa la DICOMAC in un punto
strategico per l’emergenza e da lì si coordinano tutti gli interventi che il
Governo provvede a ratificare quando necessario.
Se torniamo alla equazione del rischio, nel caso del corona
virus, si evidenziano alcuni problemi applicativi:
La comunità scientifica non è concorde nella definizione e
descrizione del PERICOLO è un dato che non abbiamo molti strumenti certi e
sicuri per intervenire sulla PROTEZIONE, per ridurre il RISCHIO non si hanno a
disposizione che interventi per ridurre la FREQUENZA di manifestazione del
pericolo, anche in termini di impatto socio economico, attualmente quindi si
può intervenire riducendo drasticamente le possibilità di contagio con scelte
che impattano a loro volta sulla quotidianità dei cittadini e sulle attività
economiche che garantiscono la socialità.
Altra questione è il rapporto tra emergenza e comunicazione,
già con l’alluvione di Firenze abbiamo avuta la presenza dei vip nello scenario
(perfino Ted Kennedy), poi abbiamo avuto la tragedia di Vermicino 1981 che ha
segnato un capitolo anche sulla storia della televisione, ora però abbiamo i
social che aprono un nuovo capitolo del rapporto tra attività in emergenza e
comunicazione per cui andrà trovato un nuovo equilibrio.
Alla fine, il pezzo è forse troppo lungo, ho detto la mia, chiedo
scusa se per caso ho contribuito a generare più confusione.
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