Ricordi belluschesi 16
“ul furmenton”
E’ tempo per
“bat ul furmenton” ma la siccità di quest’anno presenta campi di mais in uno
stato veramente pietoso. Già qualche tempo fa Roberto Invernizzi ci diceva “Con slancio poetico avrei voluto raccontarvi
della bellezza della campagna belluschese con il trionfo del furmenton”, mi
sono sentito sollecitato e allora
vorrei parlarne io.
Il nome è mais
(Zea mays), siccome proveniva da un altro modo e fu accoppiato all’altro
cereale: il grano, lui fu chiamato “granoturco” in alcuni dialetti “melgot”. Fu
importato in Europa al ritorno del primo viaggio di Colombo nel 1493 come altri
prodotti come il pomodoro e la patata. Col fascino di una pianta esotica
all’inizio fu coltivata nei giardini come pianta ornamentale, stava nei
giardini della Villa Farnesina dei banchieri Chigi a Roma ed è affrescata nei
festoni della loggia di Amore e Psiche della stessa Villa ad opera di Giovanni
da Udine sotto la supervisione di Raffaello nel 1517. Altra curiosità: in
occasione della visita di Papa Leone X a Firenze nel 1515 Giovanni Della Robbia
produce una terracotta (ora al Baltimore Walters Museum) intitolata “Adamo ed
Eva” in cui il ruolo della foglia di fico è sostituito dalla pianta del mais.
La diffusione
nella nostra zona coltivata in modo intensivo è fatta risalire al primo
ventennio del 1600. La coltivazione andò a sostituire altri cereali di minore
produttività come l’avena, la segale, il farro e il miglio. La coltivazione del
mais nella pianura asciutta a nord di Milano ha generato diversi problemi.
Complice una diversa gestione dei contratti agrari che passano dalla mezzadria
all’affitto a grano, nella zona si imporrà una rotazione agronomicamente
sbagliata tutta cerealicola: grano – mais con impoverimento dei terreni. L’assenza
di significativi allevamenti di bestiame (relegati a livello famigliare) non
rendeva necessaria la produzione del foraggio. Per il foraggio dei pochi
animali allevati si introduce una ulteriore pratica sconsigliata dagli
agronomi: il taglio della efflorescenza superiore della pianta (pratica
denominata “sciumà”).
Dal punto di
vista alimentare la polenta di farina di mais diventa il piatto a volte unico
dell’alimentazione contadina causando la diffusione della pellagra. Le
popolazioni messicane utilizzavano la farina del mais dopo un particolare
trattamento dei grani (ancora oggi si fa lo stesso trattamento nella cultura
ispanica per la farina con cui si fanno le tortillas) che non generano gli
effetti dannosi della pellagra.
Il termine “bat
ul furmenton” è stato probabilmente traslato dalla modalità di separazione dei
chicchi di frumento che poteva avvenire per battitura, non così era invece per
il mais.
La raccolta
avveniva a mano staccando la singola pannocchia dalla pianta, dopodiché, in
cascina, si procedeva a togliere le foglie (scartos) che potevano essere usate
per fare i materassi, e si sgranava la pannocchia con una apposita macchina
azionata a mano, si raccoglievano i grani mentre il totolo (mulen) veniva anch’esso
accantonato e utilizzato come combustibile invernale. La pianta veniva tagliata
e utilizzata come foraggio, oppure bruciata nei campi e poi arata nel terreno.
I grani di mais venivano fatti asciugare sull’aia e poi insaccati e macinati
per ottenere la farina. La pannocchia ha una efflorescenza filamentosa detta
“barba del furmenton” che veniva fumata di nascosto come prima trasgressione
adolescenziale dell’epoca.
Una prima
meccanizzazione ha riguardato la sgranatura con una apposita macchina azionata
da un motore a scoppio oppure collegato attraverso un albero cardanico a quello
del trattore che la portava sull’aia o nella cascina. Nella macchina venivano
inserite, tramite un nastro trasportatore nell’alto della macchina, le
pannocchie intere e raccolte comunque a mano, la macchina divideva i scarts, i
mulen e i grani del mais insaccandolo. La macchina azionata tramite cinghie di
trasmissioni non coperte da carter causava a volte incidenti non da poco.
Il mais doveva comunque
essere fatto asciugare stendendolo per alcuni giorni al mattino sull’aia e
raccolto prima di sera quando tramontava il sole, un gioco dei bambini era
quello di entrare nella distesa dei grani con i piedi scalzi e disegnare dei
solchi paralleli per accelerare l’asciugatura. Una parte del raccolto era
tenuto per esigenze alimentari della famiglia e il resto veniva venduto, anche
tramite il ruolo dei consorzi agrari.
Un secondo
momento della meccanizzazione è avvenuto con delle grandi trebbiatrici che
tagliavano la pianta a circa 10 – 20 cm dal terreno (lasciando sul terreno
degli spuntoni che sono un attentato ai polpacci) ed era in grado di dividere i
grani dal resto della pianta. Ora invece le nuove trebbiatrice tritano tutto
insieme
Le varietà del
mais sono tantissime, se ne avuta conoscenza durante l’ultima expo di Milano a
cui era dedicato un padiglione tematico con le diverse varietà anche
estremamente curiose come quelle di colore nero o viola.
Nel secondo
dopoguerra è stata introdotta una nuova varietà ibrida che è quella più diffusa
e che è ormai la sola coltivata nella nostra zona, più produttiva e adatta
ormai soprattutto per la produzione di mangimi animali utilizzando la pianta
intera come “trinciato”.
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