martedì 13 settembre 2022

 

Ricordi belluschesi 16

“ul furmenton”

 

E’ tempo per “bat ul furmenton” ma la siccità di quest’anno presenta campi di mais in uno stato veramente pietoso. Già qualche tempo fa Roberto Invernizzi ci diceva “Con slancio poetico avrei voluto raccontarvi della bellezza della campagna belluschese con il trionfo del furmenton”, mi sono sentito sollecitato e allora vorrei parlarne io.

Il nome è mais (Zea mays), siccome proveniva da un altro modo e fu accoppiato all’altro cereale: il grano, lui fu chiamato “granoturco” in alcuni dialetti “melgot”. Fu importato in Europa al ritorno del primo viaggio di Colombo nel 1493 come altri prodotti come il pomodoro e la patata. Col fascino di una pianta esotica all’inizio fu coltivata nei giardini come pianta ornamentale, stava nei giardini della Villa Farnesina dei banchieri Chigi a Roma ed è affrescata nei festoni della loggia di Amore e Psiche della stessa Villa ad opera di Giovanni da Udine sotto la supervisione di Raffaello nel 1517. Altra curiosità: in occasione della visita di Papa Leone X a Firenze nel 1515 Giovanni Della Robbia produce una terracotta (ora al Baltimore Walters Museum) intitolata “Adamo ed Eva” in cui il ruolo della foglia di fico è sostituito dalla pianta del mais.

La diffusione nella nostra zona coltivata in modo intensivo è fatta risalire al primo ventennio del 1600. La coltivazione andò a sostituire altri cereali di minore produttività come l’avena, la segale, il farro e il miglio. La coltivazione del mais nella pianura asciutta a nord di Milano ha generato diversi problemi. Complice una diversa gestione dei contratti agrari che passano dalla mezzadria all’affitto a grano, nella zona si imporrà una rotazione agronomicamente sbagliata tutta cerealicola: grano – mais con impoverimento dei terreni. L’assenza di significativi allevamenti di bestiame (relegati a livello famigliare) non rendeva necessaria la produzione del foraggio. Per il foraggio dei pochi animali allevati si introduce una ulteriore pratica sconsigliata dagli agronomi: il taglio della efflorescenza superiore della pianta (pratica denominata “sciumà”).

Dal punto di vista alimentare la polenta di farina di mais diventa il piatto a volte unico dell’alimentazione contadina causando la diffusione della pellagra. Le popolazioni messicane utilizzavano la farina del mais dopo un particolare trattamento dei grani (ancora oggi si fa lo stesso trattamento nella cultura ispanica per la farina con cui si fanno le tortillas) che non generano gli effetti dannosi della pellagra.

Il termine “bat ul furmenton” è stato probabilmente traslato dalla modalità di separazione dei chicchi di frumento che poteva avvenire per battitura, non così era invece per il mais.

La raccolta avveniva a mano staccando la singola pannocchia dalla pianta, dopodiché, in cascina, si procedeva a togliere le foglie (scartos) che potevano essere usate per fare i materassi, e si sgranava la pannocchia con una apposita macchina azionata a mano, si raccoglievano i grani mentre il totolo (mulen) veniva anch’esso accantonato e utilizzato come combustibile invernale. La pianta veniva tagliata e utilizzata come foraggio, oppure bruciata nei campi e poi arata nel terreno. I grani di mais venivano fatti asciugare sull’aia e poi insaccati e macinati per ottenere la farina. La pannocchia ha una efflorescenza filamentosa detta “barba del furmenton” che veniva fumata di nascosto come prima trasgressione adolescenziale dell’epoca.

Una prima meccanizzazione ha riguardato la sgranatura con una apposita macchina azionata da un motore a scoppio oppure collegato attraverso un albero cardanico a quello del trattore che la portava sull’aia o nella cascina. Nella macchina venivano inserite, tramite un nastro trasportatore nell’alto della macchina, le pannocchie intere e raccolte comunque a mano, la macchina divideva i scarts, i mulen e i grani del mais insaccandolo. La macchina azionata tramite cinghie di trasmissioni non coperte da carter causava a volte incidenti non da poco.

Il mais doveva comunque essere fatto asciugare stendendolo per alcuni giorni al mattino sull’aia e raccolto prima di sera quando tramontava il sole, un gioco dei bambini era quello di entrare nella distesa dei grani con i piedi scalzi e disegnare dei solchi paralleli per accelerare l’asciugatura. Una parte del raccolto era tenuto per esigenze alimentari della famiglia e il resto veniva venduto, anche tramite il ruolo dei consorzi agrari.

Un secondo momento della meccanizzazione è avvenuto con delle grandi trebbiatrici che tagliavano la pianta a circa 10 – 20 cm dal terreno (lasciando sul terreno degli spuntoni che sono un attentato ai polpacci) ed era in grado di dividere i grani dal resto della pianta. Ora invece le nuove trebbiatrice tritano tutto insieme

Le varietà del mais sono tantissime, se ne avuta conoscenza durante l’ultima expo di Milano a cui era dedicato un padiglione tematico con le diverse varietà anche estremamente curiose come quelle di colore nero o viola.

Nel secondo dopoguerra è stata introdotta una nuova varietà ibrida che è quella più diffusa e che è ormai la sola coltivata nella nostra zona, più produttiva e adatta ormai soprattutto per la produzione di mangimi animali utilizzando la pianta intera come “trinciato”.


Giovanni Della Robbia "Adamo ed Eva" 1515


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