Ricordi belluschesi 15 bis
Le battaglie ecologiste
Se vogliamo stare dentro il discorso di “Ricordi
Belluschesi” abbiamo avuto a Bellusco anche la sede di un circolo di
Legambiente, è durato due o tre anni dall’1986 all’89 circa poi ognuno dei
componenti è stato preso da altri impegni e l’iniziativa si è spenta.
Sono stati anni importanti, con la prima battaglia contro i
sacchetti di plastica per la spesa, il referendum sul nucleare e la prime
elaborazione della proposta per il “parco Rio Vallone”.
https://1drv.ms/b/s!AsPvGMHqjI34rUi7VSkI56331NeO?e=1WXc0I
Tra le iniziative fatte anche un “corso base di ecologia” con la partecipazione di soggetti molto importanti dell’ecologismo nazionale: Laura Conti: direi “la mamma dell’ecologismo italiano”, impegnata come medico sulla vicenda dell’ICMESA di Seveso è tra i fondatori di Legambiente, come Ercole Ferrario a cui ora è intitolato il “Parco Nord Milano”, Giorgio Shultz passato poi al Partito Umanista e al pacifismo e Alfredo Viganò urbanista calato nella gestione concreta e quotidiana delle proposte ecologiste.
Proprio a partire dalle riflessioni di Laura Conti si è
capito che la questione ecologica è un oggetto delicato da maneggiare.
“L’ecologia è l’unica scienza che oltre agli scienziati ha
un folto stuolo di paladini […] Quest’ultima in Italia, infatti, conta su pochi
professionisti, ma su decine di migliaia di paladini” Si capisce che il rischio
di cadere nel populismo non è irrilevante. Ma se si sono ottenuti bene o male
dei risultati in questo campo è stato fatto per mezzo della mobilitazione dei
cittadini.
Dentro questa esperienza ho portato a casa un paio di
concetti forti.
Lo slogan” pensare globalmente, agire localmente”, anche i
ragionamenti e le proposte generali possono avere dei risvolti locali, alla
portata e all’impegno di ognuno. Così come un problema locale può essere capito
meglio in un ragionamento più ampio.
L’altra questione si riferisce al fatto che l’ecologia è una
scienza, come si dice “olistica” o “di sistema”, un concetto che è diventato
poi di moda e abusato, forse superato in questi anni da quello di “resilienza”.
Per capire questa cosa ci è venuto in aiuto in quegli anni un racconto di Italo
Calvino contenuto nel libro “Le città invisibili” del 1972:
“Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. «Ma qual è
la pietra che sostiene il ponte?» chiede Kublai Khan. «Il ponte non è sostenuto
da questa o quella pietra – risponde Marco –, ma dalla linea dell’arco che esse
formano». Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: «Perché mi
parli delle pietre? È solo l’arco che m’importa». Polo risponde: «Senza pietre
non c’è arco».
L’ecologia è così, se ti fermi troppo a ragionare sul
singolo elemento non riesci a capire che quell’elemento lì ha diverse e
complicate relazioni con altri e che una serie di elementi compongono un
insieme che sta in piedi. In più l’ecosistema a differenza dell’”arco di Marco
Polo” è un sistema dinamico evolutivo sia nella componente naturale che nella
presenza umana. Un ragionamento possibile è quello di trasformare tutto in
quantificazione energetica, ma è una delle semplificazioni possibili. Nella
realizzazione dei prodotti un conto sensato, ma non ancora puntualmente
applicato, partirebbe da quanta energia occorre per procurarsi le materie prime,
quanta se ne consuma per la produzione, quanta per l’uso, per le manutenzioni e
per lo smaltimento finale e nel ragionamento andrebbe considerata la durata di
questo ciclo. Ma passando dai prodotti alle azioni non ci si può fermare alla
somma dei prodotti coinvolti, ci sono importanti ricadute sociali.
Abbiamo anche a disposizione strumenti e normative che hanno
indirizzato il problema come la Valutazione d’Impatto Ambientale o la
Valutazione Ambientale Strategica, ma anche se non applicate in modo meramente
burocratico, sembrano ancora insufficienti, però almeno ci fornisco dati e
ipotesi di effetti sull’ambiente.
Ragionamenti complessi che spesso non danno risposte
semplici e che è difficile gestire con la mobilitazione dal basso. Per fare un
esempio: qualcuno può sostenere sinceramente di avere in tasca la soluzione
definitiva per Taranto?
Per uscire da una posizione che potrebbe sembrare relativista e
di arresa, bisogna saper coinvolgere il decisore cioè la politica e quindi
ancora i paladini sapendo che le soluzioni non sono facili.
Torniamo alla nostra Pedemontana.
Abbiamo già detto che è impostata male e sbagliata, ma intanto un pezzo è già fatto e a questo punto dove la facciamo finire? Li dove è arrivata adesso senza avventurarsi sul bosco della diossina? Oppure la facciamo arrivare ad occupare, in modo altrettanto complicato ad occupare la sede dell’attuale Milano Meda? Ragionando sulla tratta D la proposta della D breve fa meno danni dell’ipotesi della D lunga, meno territorio niente nuovo ponte autostradale sull’Adda. La D breve è un doppione del prolungamento della tangenziale est a un paio di chilometri in linea d’aria in parallelo, la prima sarebbe comunque a pagamento la seconda no. La proposta va ad aggravare la situazione del comune di Agrate, già pesantemente interessato da tratti e svincoli autostradali, inoltre gli assi autostradali diventano essi stessi nuovi attrattori di nuovi insediamenti produttivi e commerciali, certo questa situazione è di pertinenza (non totalmente) dei comuni ma si sa poi le amministrazioni cambiano. Una ipotesi sarebbe quella di fare concludere la tratta C all’intersezione del prolungamento della tangenziale est a nord di Vimercate, con ancora due problemi, un aumento del traffico su questo tratto e la mancata connessione ad Agrate tra tangenziale Est e autostrada A4.
E se si rinunciasse anche alla tratta C, rimarrebbe lì un
residuato un po’ inutile. meglio inutile che dannoso?
Dopo di che rimane il macigno dell’eccessivo trasporto su
gomma delle merci e della condizione del tratto urbano della A4, se si vuole
seriamente trasferire le merci sul ferro occorrono comunque nuove infrastrutture
compresi gli interscambi ferro-gomma, ma non basterebbe, bisogna rendere più
economico ed efficiente il trasporto merci su ferro affrontando la situazione
che si verrebbe a creare con gli autotrasportatori, siamo in grado di “costruire
l’arco”?
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