Ricordi belluschesi 10
Questione d’igiene
L’argomento stavolta è poco elegante, anzi forse anche un poco triviale. Mi ha sollecitato il fatto di trovare questo modo di dire in un romanzo di Adrea Vitali. L’avevo sentito tempo fa e poi sparito. Un modo di dire rivolto a chi non si decide a fare una cosa oppure davanti a noi è indeciso su quale percorso prendere, del tipo di quelli che in autostrada stanno a cavallo delle corsie, proprio in quelle situazioni mi torna in mente: “O caga o lasà liber ul bus”.
L’espressione si rifà a quando le latrine erano in comune in un angolo del cortile e venivano utilizzate da tutti i residenti del cortile, per cui poteva capitare di trovare il gabinetto occupato, magari con qualcuno che nell’attesa occupava il servizio per troppo tempo.
Il bagno in casa è una conquista che nei nostri paesi non ha più di settant’anni, la latrina era fuori casa, in comune nel cortile oppure annesso alle singole stalle, condividendo in questo modo il “pozzo nero”. Per i bisogni notturni esistevano gli “urinari” di terracotta finiti ora tra i materiali di antiquariato insieme agli altri accessori dell’igiene personale che stavano in camera: il catino in un porta catino dotato di specchio e dello spazio sottostante per appoggiare la brocca dell’acqua. L’acqua in casa, quando c’era, arrivava nel lavandino della cucina, per il bagno invece si usava lo stesso mastello per lavare i panni con l’acqua che veniva scaldata sulla stufa, il bagno personale, salvo casi eccezionali, era previsto per il sabato pomeriggio.
Per l’igiene quotidiana si usava appunto il catino per lavarsi in sequenza: le mani, la faccia e i piedi.
A volte nelle camere delle “spose” c’era la “pettineuse” (pronuncia alla francese), un mobiletto a mo’ di tavolino con lo specchio orientabile e i cassettini per conservare gli accessori per la mise delle signore, esisteva anche una versione col piano più basso e lo specchio verticale più alto “a persona intera”.
Gli urinari veniva svuotati il mattino sempre nelle latrine, ma secondo il Parini (così alziamo un po’ il tono), un secolo prima, andava peggio ai milanesi che li svuotavano per strada:
“Ma al piè di gran palagi
La il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
ammorba l’aria lenta.
Che a stagnar si rimase
Tra le sublime case.
Quivi i lari plebei
De le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s’aggira,
E col fiato s’inspira.”
Si si, sta parlando proprio di Milano.
Negli anni ’50 e ’60 il bagno è arrivato dentro le case dei nuovi appartamenti, nelle case single e anche nelle sistemazioni dei cortili, aggiunte che ci appaiono ora fuori luogo soprattutto su edifici diventati storici.
Anche nei primi appartamenti il bagno stava in fondo al corridoio e aveva più o meno la stessa larghezza di questo, uno spazio molto piccolo in cui ci si muoveva a fatica tra la vasca, il lavabo, il water e il bidet, con l’aggiunta della lavatrice, arrivata negli stessi anni, la doccia è arrivata dopo. Spesso stava nel bagno anche il boiler per l’acqua calda senza particolari problemi se fosse stato elettrico (siamo matti con quello che costava la bolletta!) Pericolosissimo se era a gas, con storie di svenimenti non si sa se per troppo vapore caldo o per il pericolosissimo eccesso di ossido di carbonio dovuto alla combustione.
Ora la stanza da bagno è diventato un altro locale da esibire, con accessori e rivestimenti ceramici da grandi firme e relativi costi, è uno degli ambiti, insieme alla cura del corpo in generale, che ha visto profondi cambiamenti in non moti anni e che ora ci fanno guardare con stupore le realtà sociali diverse dalla nostra, eppure è successo tutto in meno di una generazione.
I bagni rimasti nella “curt del lazaret”
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