Ricordi belluschesi 13
Le Cascine dell’area nord-milanese
Sabato 29 gennaio 2022 ha preso fuoco la Cascina Cavallera di Oreno, un monumento architettonico del nostro territorio. Il fatto mi da l’occasione di riportare alcune riflessioni che magari mi avete già sentito fare a voce, facciamo un ripasso.
Il modello architettonico della cascina della zona a nord di Milano definito “alto piano asciutto” in quanto sopraelevato rispetto alla “bassa irrigua” della zona sud è il risultato di un processo economico e sociale che ha portato questa zona alla metà dell’800 ad essere tra le più popolate d’Europa e ha costituito le basi per l’industrializzazione del secolo successivo.
Nella pianura irrigua la presenza delle sorgive e l’opera dei monasteri, grandi proprietari terrieri, fin dal Medioevo hanno trasformato il territorio con la possibilità di ottenere una produzione agricola molto importante. Tra le trasformazioni territoriali che hanno segnato il paesaggio, oltre alla presenza dei monasteri come diretti controllori, si insediano le “grandi cascine” che ospitavano l’imprenditore, le case dei contadini, spesso con diverse specializzazioni, i depositi per gli ingenti quantitativi prodotti e i grandi allevamenti di bestiame.
L’importanza della presenza dell’acqua in questo contesto è determinante tanto che il limite delle due zone geografiche può essere assunto quello del tracciato del Naviglio della Martesana.
A nord di Milano nella pianura asciutta, dove i corsi d’acqua non erano adatti all’utilizzo per l’irrigazione agricola, dalla seconda metà del ‘700 parte un nuovo modello economico per l’agricoltura spinto da un fattore da “economia globale”, il forte aumento del prezzo dei cereali. Diventa quindi economico l’investimento nei territori asciutti, disboscando la brughiera esistente, insediando la struttura di controllo delle “ville di delizie” imponendo una rotazione agricola fatta solo di granoturco e frumento del tutto sconsigliata dal punto di vista agronomico e insediando le cascine come nuovo modello abitativo dei contadini. La cascina della zona asciutta è completamente diversa di quella a sud di Milano perché diverso è il modello organizzativo della produzione agricola. Da noi l’organizzazione era centrata sulla singola famiglia a cui erano assegnate diverse appezzamenti di terreno, una abitazione e una stalla. All’interno delle nuove cascine l’abitazione dei contadini è organizzata in un corpo di fabbrica tipico delle nostre zone di cui la Cascina Cavallera è un illustre esempio. Ad ogni famiglia era assegnato un fetta verticale di questo edificio, al piano terra la cucina, al primo e, a volte, al secondo piano, direttamente sovrapposte stavano le camere da letto che potevano essere riscaldate tramite una botola nel pavimento col calore proveniente dalla cucina. La distribuzione di questi locali avviene tramite un profondo porticato che ai piani superiori diventa un ampio ballatoio. Il porticato è sempre rivolto a sud, applicando in modo sapiente le conoscenze che ora definiremmo di “bio-architettura”. Il porticato alto e profondo permette ai bassi raggi solari invernali di riscaldare le pareti interne, mentre d’estate il sole più alto non raggiunge le pareti interne mantenendo più freschi gli ambienti interni, il porticato è speso chiuso lateralmente da due ambienti che lo proteggono dai venti. Per questa ragione gli edifici presentano questa facciata porticata sempre rivolta a sud. A chiudere lo spazio comune del cortile di fronte all’edificio residenziale si trova quello delle singole stalle con sovrastante fienile. Per citarne alcune presenti a Bellusco abbiamo la Cascina San Martino, il Dosso Alto, un paio lungo la via Dante, una in via Italia e anche la cascina San Nazzaro e Camuzzago. La mancanza di foraggio non permetteva la possibilità di significativi allevamenti di bestiame, ogni famiglia possedeva nella stalla un animale da tiro (cavallo, asino o mulo) una mucca, un maiale e delle galline per il sostentamento alimentare della famiglia. Il proprietario non esercitava funzioni imprenditoriali ma aveva impostato il tutto con un contratto di affitto in cerali. Il contadino doveva al proprietario per l’affitto dei terreni, della casa e della stalla una quantità fissa di grano, indipendentemente dall’andamento produttivo stagionale. L’insufficienza della “forza animale” da un parte impediva di chiudere il ciclo ecologico con la mancanza di letame e quindi concime, dall’altra richiedeva una notevole quantità di manodopera in particolari periodi dell’anno. Le condizioni economico e sociali favoriscono quindi la presenza nella nostra zona della “grande famiglia patriarcale”, ma questa manodopera aveva disponibilità di tempo in altri periodi, per questa ragione cominciarono a diffondersi i telai casalinghi che producevano “pezze” che venivano commissionate e ritirate da intermediari girovaghi. Secondo alcuni storici la diffusione dei telai casalinghi e la nascita della bachicultura per uscire dalle precarie condizioni economiche saranno le caratteristiche che definiscono la via italiana alla “prima rivoluzione industriale”. Dalla seconda metà dell’ottocento le nuove cascine verranno costruite (o ricostruite come la Cavallera) lontani dai centri abitati. Il corpo di fabbrica di queste cascine si presenta quasi sempre con caratteristiche strettamente tecnici e funzionali, a volte si arricchiscono di elementi architettonici come nel caso del frontone centrale e simmetrico della Cascina Cavallera di Oreno.
Per farsi un idea delle differenze sociali tra la cascina della zona asciutta e quella della zona irrigua si possono vedere il film di Ermanno Olmi “L’albero degli zoccoli” per il primo caso e “Novecento” di Bernardo Bertolucci nel secondo caso.
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